Recensione Milano-Palermo: il ritorno (2007)

Ci si chiede quale fosse la necessità di realizzare questo sequel, che non sa offrire nulla più della storiella sulla scorta con tutti i risvolti politically correct dietro ogni discorso o immagine che mendica il consenso del pubblico.

Poliziotti della speranza

E' ormai sempre più labile il confine che separa la fiction televisiva dal cinema italiano, e il rischio dello sconfortante paragone è diventato un vero e proprio fantasma per il cineasta che gira, quantunque con onestà, il suo bel film per il grande schermo. In tanti sono oggi ad invocare un ritorno al genere, ma sempre più spesso i tentativi di riproporre questo tipo di cinema si trasformano in pallide fotocopie di quanto passa ogni giorno in tv. La fiction si è creata parte della sua fortuna sul fascino delle storie di chi, indossando una divisa, si mette in gioco per proteggere il cittadino, combattendo ogni tipo di male, riuscendo in un modo o nell'altro a portare a casa il risultato. Ritrovare al cinema perciò storie, valori e volti appena spenti a casa, con gli stessi ritmi e gli stessi messaggi, ci fa interrogare sul senso reale di queste operazioni confezionate nella bandiera della nuova vita al genere, ma che a conti fatti risultano prolungamenti di quanto già visto nella scatola domestica e che suonano perciò quasi una beffa per la sete di nuove emozioni dello spettatore.

Il regista Claudio Fragasso e la sceneggiatrice Rossella Druidi tengono a sottolineare come il loro Palermo Milano solo andata sia stato una sorta di modello per quelle fiction di successo, che sono venute solo successivamente, ma oggi il confronto è purtroppo inevitabile. Ci si chiede quale fosse la necessità di realizzare questo sequel, che non sa offrire nulla più della storiella sulla scorta che deve proteggere il pentito dalla furia vendicativa dei cattivissimi mafiosi, di scontri a fuoco che fanno morire decine di persone ma non certo i protagonisti buoni, di tutti i risvolti politically correct dietro ogni discorso o immagine che mendica il consenso del pubblico. La storia di Milano-Palermo: Il ritorno fa il percorso inverso del suo predecessore: dopo il viaggio dalla Sicilia al Nord per accompagnare in un carcere di sicurezza il ragioniere della mafia che ha fatto incastrare una terribile famiglia di Cosa Nostra, è arrivato il momento di ridargli la libertà, proteggendolo ora dall'ira del resuscitato clan Scalia che intende vendicare quello che considera un imperdonabile torto subito e riappropriarsi di un patrimonio sterminato al quale può accedere solo l'infame ragioniere. Appena uscito di prigione però, le cose si mettono subito male per il buon vecchio Giancarlo Giannini e per la sua scorta, gli eventi precipitano ed il viaggio verso il cuore della mafia ha ora come obiettivo quello di liberare il nipote dell'uomo fatto ostaggio dagli uomini cattivi.

Si rimettono in campo i valori dell'onore, della fiducia, della giustizia, provando ad unire l'impegno del messaggio anti-mafia con il divertimento del parapiglia di sparatorie ed inseguimenti, riuscendo solo in parte a far presa sullo spettatore. Milano Palermo - Il ritorno è un poliziesco on the road all'italiana, lieve nella sua messa in scena senza verve (i limiti dei continui primi piani che soffocano l'azione, la mancanza di una coreografia spettacolare per gli scontri a fuoco), impacciato nella tessitura della trama, che rovina più di una volta nell'inverosimile e che si trasforma nel finale in un autentico bagno di speranza: bambini dite di no alla mafia! Di fronte a film del genere si avanzerebbero giustamente però due pretese: ritmo e divertimento. Milano Palermo ha un buon appeal quando si prende poco sul serio (il personaggio di Libero De Rienzo, bizzarro angelo custode sempre sul posto giusto al momento giusto) mentre soffre della pesantezza dei sospiri nervosi delle figure più tragiche (come la mamma Chiara di Romina Mondello) e della presenza invasiva delle musiche di Pino Donaggio. Gli attori sono i volti tipici della fiction Mediaset (Raoul Bova, Ricky Memphis, Simone Corrente) e soffrono ruoli che non hanno nulla di nuovo da comunicare. Un compitino svolto discretamente, ma del quale non si riesce a cogliere la necessità.