Recensione Un gioco da ragazze (2008)

Un gioco da ragazze, dietro le apparenze giovanilistiche, è un film complesso che sottende la necessità di uno sguardo adulto chiamato a metabolizzare lo spaccato sociale che emerge.

Perversioni liceali

Algida e calcolata provocazione o azzeccato ritratto della generazione x che, ormai priva di limiti, sempre più spesso popola la cronaca nera come protagonista di fattacci di ogni tipo? Un gioco da ragazze, film di Matteo Rovere in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, scatena polemiche a non finire, soprattutto dopo che la mannaia della censura si è abbattuta su di lui facendo scattare il divieto per i minori di 18 anni, divieto che rappresenta una vera maledizione per una pellicola il cui target di riferimento principale è rappresentato dai coetanei delle tre protagoniste del film. Censura che, oltre ad essere discutibile nella natura e nelle modalità in cui si manifesta, si trova qui a sbagliare completamente bersaglio visto che i gusti cinematografici dei giovanissimi tendono a catalizzarsi, per lo più, intorno al cinema americano segnando poche significative eccezioni quando scendono in campo i cinepanettoni nostrani. Un gioco da ragazze, invece, dietro le apparenze giovanilistiche, è un film complesso che sottende la necessità di uno sguardo adulto chiamato a metabolizzare lo spaccato sociale che ne emerge. Figlie di imprenditori e professionisti che vivono in ville con piscina e servitù, frequentano scuole private dove non è necessario studiare per essere promossi, hanno l'armadio che trabocca di abiti firmati, consumano droghe a tutto spiano e fanno delle bellezza esteriore un canone e non una fortuna.

La tesi espressa dal film di Rovere è chiara e nemmeno troppo originale. Quando si possiede già tutto si passa a desiderare ciò che è proibito. L'opulenza, il disinteresse delle famiglie, la noia e la mancanza di valori esasperano un malessere adolescenziale che assume la forma del bullismo più sfrenato anche se, in questo caso, tutto al femminile. Il legame d'amicizia tra le tre protagoniste del film è fallace e dovuto solo alle contingenze, così come le loro relazioni con gli altri personaggi. L'oscurità che ammanta desideri e volontà domina su tutto ed è probabilmente questa atmosfera torbida e malsana, ben più delle due-tre scene di sesso che punteggiano la pellicola, ad aver innescato la decisione della censura di vietare il film ai minori perché Un gioco da ragazze unisce ambiziosamente la dimensione della critica sociale, tentando coraggiosamente di illustrare senza giudicare, con una forma curata e moderna che strizza l'occhio al noir giovanilistico americano che vede nel riuscito Le regole dell'attrazione di Roger Avary un modello insuperabile. Il giovane Rovere, qui al suo esordio nel lungometraggio dopo una serie di apprezzati corti, prova a fare l'autore discostandosi dagli stilemi tipici dell'italianismo registico e a tratti vi riesce. La tensione del film si mantiene altissima durante tutta la pellicola, aiutata anche da una colonna sonora azzeccata, e l'estetica decadente delle scene in discoteca o nelle ville delle ragazze funziona come cassa di risonanza del tema del film creando un solido connubio forma-contenuto.

Nonostante l'impegno profuso nella pellicola, però, non si può parlare di lavoro riuscito. I difetti di Un gioco da ragazze sono da imputare, principalmente alla sceneggiatura firmata, tra gli altri, dal giallista Sandrone Dazieri e dalla nuova promessa letteraria Teresa Ciabatti. I dialoghi artefatti e poco realistici rischiano di trasformare le tre protagoniste da figure a figurine inconsistenti e abbozzate. In questo senso risulta quasi più credibile la protagonista Elena, principessa del male a tutto tondo priva di sentimenti e reazioni umane, rispetto alle amiche, sempre in bilico tra approvazione incondizionata delle gesta dell'amichetta e improvvise (e immotivate?) crisi di nervi di mucciniana memoria. La recitazione urlata e dai toni eccessivi spesso distoglie l'attenzione dal cuore del film, così come le battute, non sempre coerenti con l'atmosfera generale, che punteggiano qua e là la pellicola. Le tre protagoniste, tutte alla prima esperienza recitativa, non se la cavano affatto male, in particolare risulta efficace la performance feroce e coerente di Chiara Chiti nei panni di Elena. Brava come sempre, ma costretta in un ruolo ridotto Valentina Carnelutti, mentre soffre un po' Filippo Nigro nei panni del professore d'italiano idealista che tenta avventatamente di avvicinarsi al mondo delle sue esose allieve con esiti imprevisti. Il talento di Nigro fatica ad emergere a causa di battute poco felici e di uno sguardo spiritato che l'attore mantiene inspiegabilmente nella maggior parte delle inquadrature. Una maggiore cura del suo personaggio, a livello a scrittura, avrebbe decisamente giovato all'esito complessivo della pellicola, ma questo forse non sarebbe stato un gioco da ragazze.

Movieplayer.it

3.0/5