Mortal Kombat, recensione: quando battersi fino alla morte non basta

La recensione di Mortal Kombat, il film del 2021, nuovo adattamento del popolare franchise videoludico, che in Italia arriva direttamente su Sky e NOW.

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Mortal Kombat: Joe Taslim un'immagine del film

In precedenza, su questo sito, abbiamo parlato di come la strategia della Warner Bros. per il 2021 - tutti i film dello studio escono in contemporanea in sala e su HBO Max negli Stati Uniti - abbia effettivamente sminuito i film stessi, soprattutto in assenza di una vera strategia per i mercati internazionali, dove i titoli usciti finora sono arrivati anche con due o tre mesi di ritardo, con la conseguenza che molti hanno fatto ricorso alla pirateria, avendo la possibilità di vederli in qualità decente dato che erano già disponibili in streaming in patria. Almeno per quanto riguarda la prima metà dell'anno, l'impressione è che questi film siano stati delle note a piè di pagina, come dimostra il fatto che questa recensione di Mortal Kombat arrivi in occasione del debutto italiano del film non al cinema, ma direttamente su Sky e NOW (pare a causa di un accordo pregresso che non prevedeva l'opzione della sala in caso di riapertura). Un destino un po' ingrato per quello che, sulla carta, doveva essere il grande rilancio dell'adattamento cinematografico del celeberrimo videogioco.

A caccia di eletti

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Mortal Kombat: Ludi Lin, Max Huang in una scena del film

La storia di questa versione di Mortal Kombat inizia qualche secolo fa, quando la rivalità tra due clan di ninja miete vittime al punto da trasformarsi in un conflitto personale destinato a durare oltre la morte. Ai giorni nostri, invece, i preparativi sono in corso per un nuovo torneo della lotta fra mondi, rappresentati dai rispettivi campioni, e Lord Raiden (Tadanobu Asano), dio del tuono e protettore della Terra, deve riunire coloro che combatteranno in nome della nostra dimensione. Un'antica profezia dice che i discepoli di Raiden saranno in grado di scongiurare la decima vittoria consecutiva del Regno Esterno, impedendo così alle armate di quel mondo di invadere il nostro. Shang Tsung (Chin Han), un perfido stregone al servizio del Regno Esterno, vuole invece far sì che i campioni della Terra non riescano nemmeno a partecipare al torneo, e invia i propri emissari, tra cui Goro e Sub-Zero, a uccidere questi predestinati: il lottatore professionista Cole Young (Lewis Tan), i soldati Jackson Briggs (Mehcad Brooks) e Sonya Blade (Jessica McNamee), e due monaci Shaolin, Liu Kang (Ludi Lin) e Kung Lao (Max Huang).

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All'inseguimento del franchise

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Mortal Kombat: una scena del film

Con questo film la Warner intende rilanciare una saga che precedentemente era appannaggio della New Line Cinema, all'epoca unità indipendente di Time Warner (oggi WarnerMedia) e artefice del Mortal Kombat del 1995 e del suo sequel, Mortal Kombat - Distruzione totale, uscito nel 1997. Due lungometraggi non privi di problemi, ma il primo ha un certo fascino "tamarro", mentre il secondo ne è una brutta copia, dal sapore cheap (basti pensare all'antagonista Shao Kahn, passato da un imponente effetto speciale con la voce cavernosa di Frank Welker a una performance fisica che fa un po' effetto cosplay a basso costo). Un quarto di secolo dopo, si vuole aggiustare il tiro: alla produzione c'è James Wan, specializzato in horror, e il suo contributo è visibile soprattutto nella scelta del regista Simon McQuoid, suo connazionale, e dell'uso dell'Australia come luogo per le riprese; i combattimenti sono più brutali, per essere più fedeli all'estetica dei giochi, con annesso divieto ai minori nelle sale americane; e il tono generale è più serio, cosa evidente soprattutto a livello musicale poiché il celeberrimo tema del franchise è stato rielaborato e la mitica voce che urla a squarciagola "MORTAL KOMBAT!" è stata relegata ai titoli di coda (laddove nel 1995 precedeva tutte le scene d'azione).

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Mortal Kombat: Angus Sampson in una scena del film

Dove però il film inciampa, al netto di un apparato formale notevole, è nella costruzione drammaturgica: McQuoid ha pensato a una trilogia, motivo per cui alcuni elementi e personaggi (Johnny Cage e Shao Kahn su tutti) sono stati messi da parte per l'eventuale sequel, ma in questo caso l'ambizione e il worldbuilding smorzano l'identità del singolo lungometraggio, trasformato in una sorta di lungo preambolo in vista di sviluppi futuri. La componente action è efficace, ma è sopraffatta da un'atmosfera seriosa che vuole dare un respiro epico alla storia e invece gira a vuoto tra chiacchiere metafisiche e promesse di lotte ancora più spettacolari che arriveranno, forse, in separata sede. Paradossalmente, la stessa Warner, qualche mese fa, ha fatto uscire in home video e digitale un film d'animazione con una struttura pressoché identica (il perno emotivo è la rivalità immortale tra Scorpion e Sub-Zero), ma anche dotato di una scrittura capace di valorizzare le situazioni e i personaggi (non aiuta che in sede live-action si sia deciso di introdurre un protagonista nuovo di zecca, presumibilmente per conquistare il mercato asiatico nonostante quasi tutti gli interpreti principali siano di origine cinese o giapponese). Probabilmente i due sequel si faranno, ma la strada è ancora lunga prima di poter dichiarare, come fanno i combattenti, "Flawless victory".

Conclusioni

Chiudiamo la recensione di Mortal Kombat, sottolineando quanto di tratti di un reboot ambizioso che però sacrifica l'efficacia del singolo film in nome di una potenziale trilogia. Visivamente accattivante ma drammaticamente traballante.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.8/5

Perché ci piace

  • Le scene d'azione funzionano.
  • I paesaggi australiani danno all'estetica del film la giusta aura di mistero ed epicità.
  • Il tema musicale aggiornato rimane orecchiabile.

Cosa non va

  • La volontà di costruire una trilogia trasforma il film in un lungo prologo.
  • Il tono eccessivamente serioso non giova ai personaggi.
  • L'assenza di volti storici del franchise lascia l'amaro in bocca.