Recensione The Island President (2011)

Il documentario di Jon Shenk racconta la storia, politica e morale, dell'ex presidente delle Maldive e della sua appassionata battaglia per salvare il proprio Paese: dalla dittatura prima, e dalla catastrofe ambientale poi.

Mohamed Nasheed, presidente globale

Il riscaldamento globale: tutti sappiamo che è un fenomeno reale, ma stentiamo a riconoscerne e a isolarne gli effetti. Certo, non possiamo negare, abusando una volta di più, magari anche con un pizzico di ironia, del sempre valido modo di dire, che "non ci siano più le mezze stagioni", ma bisogna anche riconoscere come non si stia affrontando il problema con l'urgenza e la serietà che sarebbero doverose, neanche fosse una questione che ci riguarda solo marginalmente, da posporre a ben altri interrogativi, quelli sì, considerati meritevoli della nostra immediata attenzione: quelli che minacciano la nostra solidità economica. Ma per avere il lusso di preoccuparsi dell'economia del proprio Paese, bisogna innanzi tutto averne uno: cosa che non è del tutto scontata nel caso di Mohamed Nasheed e delle sue Maldive. L'ex presidente, assurto agli onori della cronaca per il suo exploit alla Conferenza sul clima di Copenhagen del 2009, sa bene che, per mettere una pezza alla situazione attuale, riducendo le emissioni di anidride carbonica e incentivando le energie alternative, il tempo stringe, e lo sa perché il suo Paese è a soli 2 metri sopra il livello del mare, e rischia di essere spazzato via, con tutte le sue 1200 isole, nel giro di pochi anni.

Ma la battaglia di Nasheed, prima che ecologica, è stata politica. Il regista Jon Shenk affronta la storia del suo protagonista secondo una scansione cronologica, ripercorrendo la strada che lo ha portato alla notorietà a partire dalle sue radici più profonde, ovvero dall'esigenza di quella libertà che a Nasheed, così come a tutto il popolo delle Maldive, era negata da trent'anni. Dal 1978 al 2008, l'arcipelago è stato infatti governato dalla dittatura di Maumoon Abdul Gayoom: dopo gli studi all'estero, il futuro presidente ha dedicato la propria vita a opporsi al sistema, fondando una rivista e poi un partito politico. Una così sfrontata dissidenza non poteva rimanere impunita, e per Nasheed si sono susseguiti gli arresti, le persecuzioni, le torture: ma nel 2008, uscito vincitore dalle prime elezioni libere della storia recente del proprio Paese, ha potuto finalmente restaurare la democrazia. E, una volta prese le redini della Malesia, quest'uomo idealista, ma tutt'altro che poco pragmatico, ha subito concentrato i suoi sforzi sulla problematica più pressante per la sua gente: non affondare, e non nel senso metaforico del termine.
La seconda parte del film si concentra sugli studi messi in atto dal team di Nasheed e sul loro impietoso responso: se tutto il mondo non si impegna perché l'approvvigionamento di energia si basi sempre più su fonti rinnovabili, il destino delle Maldive è segnato. E, con esso, anche quello di tutti gli altri, sebbene con tempistiche non altrettanto ristrette. E' per questo che lo vediamo così combattivo, prima nel cercare di portare dalla propria parte il colosso indiano, e poi a Copenhagen. Nelle immagini di Shenk, concitate e quasi da thriller politico, le trattative ci vengono descritte in tutta la loro frustrante difficoltà: come la causa di Nasheed fa un passo avanti, ecco che sopraggiunge un altro ostacolo, un altro giochino di potere che non si era considerato, un altro voltafaccia teso a compiacere l'uno o l'altro protagonista del cosiddetto sviluppo. Attraverso l'indignazione, lo sconforto ma soprattutto l'appassionata fermezza del protagonista, assistiamo a tutta la diffidenza che deve affrontare chi, nella società contemporanea, cerca di operare secondo giustizia e lungimiranza. Il film di Shenk è illuminante sul ruolo di coloro che, in nome del modello capitalista, si sentono in diritto di commettere gli stessi errori commessi dall'Europa e dagli Stati Uniti duecento anni fa, e che solo ora, faticosamente e con poca convinzione, si sta cercando di correggere. Ma se è vero che il diritto a sbagliare ce l'abbiamo, è altrettanto vero che non abbiamo il diritto di farlo consapevolmente, a discapito del nostro stesso futuro e della nostra stessa casa.

La parziale vittoria di Nasheed, che alla fine riuscirà a ottenere l'approvazione del proprio documento, seppur in maniera non vincolante per i firmatari, ci apre alla speranza che, con la fiducia in se stessi e nella validità delle proprie idee e con la strenua resistenza al compromesso, qualcosa di importante si può davvero ottenere. Eppure, pochi anni dopo, lo stesso Nasheed è stato costretto a dimettersi dalla carica di Presidente, sotto la minaccia di un colpo di Stato messa in atto dai fedelissimi di Gayoom: a dimostrazione di come, se non siamo in grado di creare un sistema istituzionale solido ed equo, a maggior ragione non saremo in grado di ripensare il nostro futuro, e a fare in modo che ce ne sia uno.

Movieplayer.it

3.0/5