Recensione La terza madre (2007)

Dopo quasi trent'anni, Argento chiude la sua trilogia sulle Tre Madri: peccato che il regista di allora non abbia nulla a che fare con quello di adesso, che ha diretto un film semplicemente imbarazzante.

Mater trash

Ci ha messo quasi trent'anni, Dario Argento, a chiudere la sua trilogia dedicata alle Tre Madri, iniziata nel 1977 con Suspiria e proseguita tre anni dopo con Inferno. Peccato che quello fosse un altro regista, che non ha nulla, assolutamente nulla, a che spartire con colui che senza pudore alcuno ha fatto uscire nei cinema questo La terza madre. La caduta verticale di Argento (parlare di declino, di fronte a un risultato del genere, sarebbe riduttivo) è uno dei fenomeni più incomprensibili della storia del cinema, e sarà probabilmente oggetto di discussione per molti anni: non si tratta solo di inaridimento creativo, ma di perdita del più elementare senso del linguaggio cinematografico e dell'estetica filmica tout court. E la cosa più sbalorditiva è che ciò sia successo ad un regista che è stato indubbiamente grande, che nel suo genere ha scritto pagine fondamentali di storia del cinema: per fare un paragone, è come se Ernst Lubitsch a un certo punto della sua carriera si fosse messo a girare film con protagonista Alvaro Vitali (ci si perdonerà l'anacronismo, fatto solo per rendere un'idea di quanto il cinema di Argento sia precipitato negli ultimi anni).

Qui il regista romano ha richiamato nel ruolo di protagonista sua figlia Asia Argento, che mancava dai set del padre dai tempi de Il fantasma dell'Opera (film che, a dispetto delle chiacchiere e dei proclami, resta l'esempio esteticamente più vicino, nella filmografia del regista, a questa nuova pellicola). La trama, esposta in estrema sintesi, muove i passi dal ritrovamento di un'urna contenente alcuni reperti appartenuti a Mater Lacrimarum, l'unica delle Tre Madri ancora rimasta in vita; l'apertura dell'urna da parte della giovane studiosa Sarah Mandy fa abbattere un'ondata di violenza sulla città di Roma, oltre a provocare il risveglio dell'ultracentenaria strega, pronta a trascinare il mondo in un nuovo Medioevo.
E' semplicemente imbarazzante la sciatteria, la mancanza di cura, di estetica e di gusto, che permeano indifferentemente ogni parte del film: dalla regia piatta, anonima e senza verve, alla sceneggiatura che sembra scritta da un esordiente (i dialoghi - ma a questo ormai Argento ci ha tristemente abituati - superano spesso i limiti del ridicolo involontario), dalla fotografia televisiva e completamente fuori tono per qualsiasi horror degno di questo nome, all'imbarazzante recitazione (la protagonista sembra addirittura peggiorata, e non di poco, rispetto alle sue ultime prove). A parte le composizioni di Claudio Simonetti (di matrice in gran parte elettronica, imparagonabili a quelle dei tempi d'oro ma almeno sufficienti), sull'intera pellicola aleggia una patina di trash e di comicità involontaria che indispone l'appassionato di horror (che però, viste le ultime prove argentiane, doveva essere preparato) come lo spettatore qualunque.

Quello che resta, di tanta spazzatura volgarmente e spudoratamente esibita, è una graficità splatter che supera abbondantemente tutte le precedenti prove del regista, e l'insistenza su particolari di tipo erotico (caratteristica, quest'ultima, che già avevamo notato in Jenifer, primo dei due episodi argentiani della serie Masters of Horror) spesso del tutto slegati dal contesto della pellicola. Inutile andare a cercare il "tocco" argentiano anche in singole sequenze, in momenti isolati del film: non c'è, a differenza di quanto si poteva dire di poche, isolate scene dei precedenti (e comunque pessimi) Non ho sonno e Il cartaio. Ed è proprio l'accostamento a questi ultimi due film, che risultano incredibilmente più curati e meglio confezionati, a rendere ancora più imbarazzante e deprimente la visione di questo La terza madre.
Purtroppo, prima ancora che per il suo pubblico, Argento non dimostra alcun rispetto per sé stesso e per il suo lavoro degli anni passati, decidendo di dare un seguito a due dei suoi film migliori proprio nel momento più qualitativamente basso della sua carriera. Sarà divertente vedere come i suoi difensori a prescindere troveranno arzigogolati stratagemmi intellettuali per giustificare (e soprattutto farsi piacere) un film del genere. Noi, da parte nostra, ce ne tiriamo volentieri fuori: proprio perché Argento (quello vero) ci appartiene.

Movieplayer.it

1.0/5