Recensione Stephanie Daley (2006)

La regista Hilary Brougheralla sua opera seconda, affronta un tema tutto femminile, quello della maternità e dell'aborto, con apprezzabile lucidità.

Madri allo specchio

Stephanie Daley è una sedicenne americana accusata di aver deliberatamente ucciso il suo bambino subito dopo il parto. Lydie Crane, la psicologa forense che deve scoprire se Stephanie mente affermando di non essersi accorta della sua gravidanza, è incinta di sette mesi e ha alle spalle un doloroso aborto. Il drammatico confronto tra le due donne porterà a una presa di coscienza degli atti commessi e a una maggiore consapevolezza di sé. L'adolescente Stephanie accetterà la sua responsabilità nella morte del neonato che ha partorito, mentre Lydie affronterà la crisi del suo matrimonio e le paure per la maternità incombente.

La regista Hilary Brougher, alla sua opera seconda, affronta un tema tutto femminile, quello della maternità e dell'aborto, con apprezzabile lucidità. Stephanie Daley è una pellicola dalla struttura solidamente classica, dove i flashback che narrano le vicende dell'adolescente Stephanie sono solidamente incastonati nel racconto principale. Niente di particolarmente originale, visto che il tema della maternità durante l'adolescenza è stato sviscerato in decine di pellicole, ma ciò che colpisce, nel caso di questo lavoro, è il rifiuto di ogni concessione al patetico. La Brougher, a sua volta madre di due gemelli come la protagonista Tilda Swinton, si accosta a situazioni moralmente ambigue senza dare alcun giudizio di tipo etico, ma limitandosi a fotografare le vite dei suoi personaggi con sostanziale distacco emotivo. La ricerca della verità giuridica tramite l'indagine, filo conduttore di tutto il film, non è una via per punire i colpevoli e liberare gli innocenti dall'onta del sospetto, ma piuttosto un modo per imparare a essere onesti con se stessi fino in fondo

Produzione indipendente, fa parte infatti della fucina del Sundance Lab Project, Stephanie Daley può contare su un cast all star in cui spicca la grandissima Tilda Swinton, una delle attrici contemporanee più eclettiche, che da' vita e spessore alla sua psicologa futura madre. Nella parte della sospetta assassina Stephanie troviamo Amber Tamblyn, stellina nascente di Hollywood proveniente dal piccolo schermo che, a differenza di molte coetanee, fa parlare di sé esclusivamente per il proprio lavoro e che riesce a tenere discretamente testa alla veterana Swinton nei drammatici interrogatori che coinvolgono le due donne. Controparte maschile del film, Timothy Hutton, marito distratto e, forse, fedifrago di Lydie, che ultimamente appare un po' appannato, anche se bisogna ammettere che in un lavoro interamente concepito, scritto, diretto e interpretato da donne, con un ruolo come il suo non è facile ritagliarsi lo spazio necessario per risultare simpatico né affascinante. Notevole anche la sensibilità registica della Brougher che rivela inaspettati mutamenti di registro stilistico là dove necessario (bello l'incipit in mezzo alla neve) che raggiunge l'apice nell'agghiacciante scena del parto nel bagno dello chalet.

Movieplayer.it

3.0/5