Recensione Cronaca di una fuga - Buenos Aires 1977 (2006)

Il film si affida all'empatia dello spettatore, che si trova a vivere a stretto contatto con i detenuti, grazie ad una regia impeccabile, che mantiene la macchina da presa a distanza ravvicinata aumentando il disagio e la claustrofobia.

La vera storia di quattro sopravvissuti

Cronaca di una Fuga - Buenos Aires 1977 è un film basato su una storia vera. Narra la brutta vicenda di quattro giovani che, durante la dittatura fascista che ha afflitto l'Argentina fino al 1983, sono stati rinchiusi e torturati nel centro di detenzione noto come Serè Mansion. Un film per non dimenticare che si concentra su una piccola storia e che, per nostra fortuna, non appare artefatto da troppi pietismi e "fiocchettini", ma che ha tutta l'aria di narrare i fatti nudi e crudi. Non a caso, l'opera si basa sul libro Pase Libre - La fuga de la Mansiòn Seré, scritto proprio da uno dei sopravvissuti: Claudio Tamburrini, il quale ha dato la sua benedizione al prodotto finito.

1977, un commando al soldo del governo argentino, in seguito ad una segnalazione, rapisce Claudio Tamburrini, il portiere di una squadra di calcio di serie B. Lo portano in un centro di detenzione clandestina e lo torturano nella vana ricerca di nuove informazioni. L'uomo entra in un vero e proprio inferno, dove percosse e umiliazioni sono all'ordine del giorno. Durante la sua lunga permanenza, Claudio riesce a familiarizzare con altri tre detenuti. Allo scoccare del quarto mese di prigionia, quando tutto sembra volgere per il peggio, i quattro decidono di fare qualcosa. Durante una notte di temporale, forzeranno una finestra e fuggiranno via nudi e feriti, alla ricerca della libertà.

Nel film ci si ritrova da subito sbattuti dentro questa sporca faccenda, grazie ad un andamento che, fin dalle prime inquadrature, appare teso come la corda di un violino. Non è un film che ha bisogno di grandi scene e momenti "meravigliosi", ma che, semplicemente, si affida all'empatia dello spettatore; il quale non può fare a meno di soffrire e nausearsi insieme ai quattro protagonisti. Si vive a stretto contatto con i detenuti, ci si ritrova dentro quella sudicia stanza insieme a loro e ci si emoziona. Tutto questo è possibile grazie ad una regia impeccabile, che mantiene la macchina da presa a distanza ravvicinata aumentando il disagio e la claustrofobia, senza cedere mai a particolari morbosi, ma facendo tutto con semplicità, anzi, con ben celata complessità. Altre scelte stilistiche, come la resa granulosa delle immagini e la macchina da presa a spalla, appaiono felici e funzionali.

C'è solo una cosa che mette un po' di tristezza, il fatto che un film come questo sia stato vietato ai minori di quattordici anni per l'eccessiva violenza psicologica. Non che il film ci vada leggero, ma i bambini sono meno sciocchi e impressionabili di quanto si pensi ed un film del genere, contro la violenza e la repressione, potrebbe segnarli solo in positivo. Ma questa è un'altra storia...