Recensione Joe Strummer: il futuro non è scritto (2007)

Celebrazione sommessa e sentita di una vera e propria icona, che ha unito gli eccessi alla lucidità, mutando continuamente, fin dal genere musicale al quale ha scelto di aderire di volta in volta.

L'uomo dietro il mito

Dopo essersi occupato dell'altra metà dell'universo punk, con un paio di brillanti lavori dedicati ai Sex Pistols, Julien Temple confeziona un nuovo documentario musicale, concentrandosi stavolta su Joe Strummer, una figura che ha dato un notevole contributo, col suo genio, alla storia della musica e che ha usato la popolarità per far arrivare le proprie idee al maggior numero di persone nel mondo. Il carismatico leader dei Clash, gruppo punk rock britannico acclamato da critica e pubblico dalla seconda metà degli anni '70 in poi, rivive in Joe Strummer: il futuro non è scritto, celebrazione sommessa e sentita di una vera e propria icona, che ha unito gli eccessi alla lucidità, mutando continuamente, fin dal genere musicale al quale ha scelto di aderire di volta in volta: dal punk, che ha contribuito a fare grande e a rendere famoso in tutto il globo, alla strada della techno tentata negli ultimi anni di carriera, prima della morte avvenuta nel dicembre del 2002.

Una storia che parte ancora prima dell'avventura musicale quella di Joe Strummer, da quel mitico '68 che per l'autore di canzoni come White Riot e Rock the Casbah rappresentò "un anno fantastico per diventare maggiorenne", l'epoca dei fermenti studenteschi di Parigi, dello sdegno per la guerra in Vietnam, dell'esplosione della controcultura. Strummer si forma in questo grande brodo culturale mentre cerca di sopravvivere al sistema repressivo delle scuole inglesi di quel periodo (come ci ricorda Temple che inserisce nel suo documentario graffianti spezzoni di Se..., film di Lindsay Anderson che ben fotografa quella situazione) e in lui nasce l'esigenza di affermare la propria individualità, che sarà alla base delle sue idee, confluite nei testi delle canzoni dei suoi Clash, ma anche extramusicali.

Julien Temple, amico di vecchia data del compianto Strummer, mette insieme musica, materiale d'archivio, animazioni, e nuove interviste, realizzate alla luce del fuoco di quei falò che il musicista tanto amava, a chi gravitava nell'universo dei Clash e nei suoi dintorni. Cercando di mantenersi sempre nel sentiero del ricordo dell'uomo e dell'artista che non si abbandoni mai al lamento nostalgico, Temple evita soluzioni visive particolari che distolgano dal cuore dell'opera, mettendo al di sopra di tutto l'uomo Strummer, la sua voce, il suo pensiero. Grazie ad una serie di interviste ai membri dei Clash, ai suoi amici, ma anche a semplici colleghi e prestigiosi fan (tra questi Martin Scorsese e Johnny Depp) si cerca di ricostruire il percorso di un uomo sempre impegnato a tirare fuori il buono dalle proprie contraddizioni, scontrandosi spesso col paradosso della fama, utilizzata però per far passare il proprio messaggio.

In effetti il film prova a parlare dell'artista senza tacerne le incoerenze e i difetti, perché a quell'artista "dalla parte della gente" dall'aria un po' anonima qualcuno in un'intervista da addirittura del 'codardo' per la sua incapacità di accettare il confronto. Apprezzabile quindi il tentativo di non descrivere un santo e di smitizzare l'icona, ma in due ore di durata il film non riesce mai a dare un'idea precisa del tanto strombazzato pensiero rivoluzionario di Strummer che sembra fermarsi a concetti condivisibili, ma non certo originali e in grado di muovere le coscienze. Sfidare l'autorità per capire cosa significa essere liberi, abbandonare l'avidità che non porta da nessuna parte, perché senza gli altri non si è niente: queste le idee di Strummer, questa la sua filosofia di vita. Forse poca roba, ma se le esortazioni sono destinate a svanire nel nulla, ci resta pur sempre l'intensità della sua musica, sicuramente il miglior punk che si sia mai sentito.