Recensione Death Of a President - Morte di un Presidente (2006)

Film potenzialmente molto interessante, che sfrutta un'idea geniale nella sua perversità, Death of a President risulta validissimo sotto il profilo tecnico, ma francamente inutile nel messaggio che vuol far passare.

Il giorno in cui uccisero George W. Bush

Era il 19 ottobre del 2007 quando il Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, a pochi mesi dalla fine del suo mandato, fu assassinato, a colpi di arma da fuoco, all'ingresso dello Sheraton Hotel di Chicago, dove pochi minuti prima aveva tenuto un discorso ufficiale alla presenza della stampa, in un clima di apparente tranquillità, mentre una folla inferocita di manifestanti gridava per le strade la propria rabbia verso quella disastrosa politica estera che ha caratterizzato i suoi due mandati presidenziali. Nel 2008 un documentario televisivo torna ad interessarsi alla drammatica vicenda e all'inchiesta che è seguita e che ha visto condannato in tutta fretta un cittadino siriano, per poi scoprire che la verità stava dietro una delle tante tragiche storie di famiglie americane spezzate dalla guerra in Iraq.

L'assassino di George Bush, evento naturalmente fittizio, fa da sfondo a questo mockumentary retrospettivo di Gabriel Range che ha già creato numerose polemiche, da parte di chi ne ha criticato il cattivo gusto e il suo presunto incoraggiamento alla violenza, ma che in realtà risulta essere nulla più di una riflessione pacata e tutt'altro che apocalittica sull'America dell'11 settembre, quella dell'amministrazione Bush che ha risolto rapidamente la caccia alle streghe individuando subito i colpevoli dietro gli attacchi terroristici del World Trade Center e giustificando così la guerra lampo all'Iraq. Stavolta il simbolo americano abbattuto dal presunto terrorista di turno (individuato in un arabo subito processato e condannato) è lo stesso Bush, presidente scomodo che, a causa di una politica estera scellerata, si è attirato l'odio (assolutamente reale) di numerose persone.

Film potenzialmente molto interessante, che sfrutta un'idea geniale nella sua perversità, Death of a President - Morte di un presidente risulta validissimo sotto il profilo tecnico, ma francamente inutile nel messaggio che vuol far passare. Il meticoloso lavoro in fase di montaggio riesce a combinare abilmente il materiale di repertorio (dalle autentiche dichiarazioni scherzose che ci restituiscono un Bush in qualche misura umano alle immagini del funerale di Reagan riciclate come esequie dell'attuale presidente americano) con quello originale, costituito principalmente da finte interviste e manifestazioni di protesta contro la politica di Bush figlio organizzate apposta per le riprese, ma non distanti da quelle originali. L'interesse per ciò che accade sullo schermo si esaurisce però con la sequenza, particolarmente riuscita, della morte del presidente, mentre ben presto sopraggiunge la noia, con uno sguardo solo sommario a ciò che potrebbe seguire un evento così tragico, mentre si snocciolano particolari di un'inchiesta presentata in maniera troppo semplicistica.

Il problema principale del film è nell'impostazione che gli è stata data, con una simile trovata, virtualmente esplosiva, trattata con le pinze, con un'eccessiva seriosità, per evitare facili eccessi. Range, inglese di casa negli Stati Uniti, vuole raccontarci il suo punto di vista sull'11 settembre, inventandosi un evento tragico a sei anni di distanza che diventi metafora di quella fatidica data, con una piatta rivisitazione delle risposte malsane della politica e del clima di ostilità verso il diverso montato ad arte per raggiungere obiettivi più grandi. E così si ricorda e si aggiorna quella strategia del terrore, con conseguente Patriot Act a controllare la vita di ogni cittadino, limitandone la libertà, che giustifichi il puntare il dito contro un colpevole individuato con troppa fretta, per celare interessi più profondi, e ignorando poi la realtà delle cose. Alla fine però ne esce fuori troppo poco di quello che è dietro ed oltre l'evento e nulla viene aggiunto a quel complicato puzzle che sono divenuti gli Stati Uniti del dopo 11 settembre. Si sarebbe potuto puntare almeno sull'ironia, qui solo accennata (per esempio nelle interviste, nelle quali, per conservare una sorta di verosimiglianza, non ci sono mai dichiarazioni o toni esagerati) per ovviare a quella noia che sopraggiunge presto nella visione, si poteva andare a documentare le reazioni reali di gente comune di fronte alla possibilità di un simile evento. Si è scelto invece di rimanere in superficie per non far torto a nessuno, ma così si è svuotata un'idea originale di pathos e di un qualche minimo interesse.