Recensione Jimmy della Collina (2006)

La pluripremiata opera seconda di Pau arriva finalmente in sala, e ci parla con tatto e lucidità della lotta di un giovane ragazzo per non (ri)cadere lungo la china del crimine organizzato.

Il far west di Jimmy

Enrico Pau, giovane regista emergente, con Jimmy della collina, sua seconda opera, conferma quanto già di buono aveva lasciato intravedere con Pesi leggeri, il suo primo film.
Utilizza una storia che poteva prestare il fianco al perdersi in una delle tanti correnti psico-sociologiche del cinema italiano,piena di attori non tutti professionisti, ma nonostante ciò riesce a rimandare l'idea di immediatezza e di tridimensionalità che si voleva conferire al girato, in particolar modo attraverso lo sguardo lucido e l'etica lineare e pulita con la quale il regista si approccia alla macchina da presa. Il processo di maturità messo in moto da Pau rispetto al suo film precedente è evidente, nonostante qualche passaggio a vuoto ed una perfettibile gestione degli attori (sopra tutti spicca per bravura e profondità l'ottima Valentina Carnelutti).

Così Jimmy della collina rifiuta di formulare qualsiasi sentenza nei confronti di un ragazzo introverso ma pieno di vita, che non accetta di vedersi confinato per un'intera esistenza in una fabbrica, e sfoga questo suo intimo senso di ribellione lungo la china del piccolo crimine organizzato. Una comunità di recupero adagiata su una delle brulle colline sarde, un sacerdote poco invasivo ma fermo, una ragazza, sono i punti di ripartenza per Jimmy, che fatica non poco a non ricadere nel vortice dal quale faticosamente tenta di uscire.

Se Pau prende con forza le distanze da un'impianto di analisi sociologica, certo qualche affinità con il cinema anglosassone di ribellione della fine degli anni '60 (Ken Loach, per esempio, senza voler fare accostamenti forzati) la si nota. La ribellione di Jimmy parte da dentro, è innanzitutto una non accettazione di sè, della propria rete di affetti, del luogo in cui nasce e vive. Una ribellione non contro un indefinito sistema, dunque, ma una ricerca, faticosa e a volte incoerente, di sè, del proprio destino. In questo è evidente la mano di Massimo Carlotto, dal cui romanzo è stata tratta la sceneggiatura, di strutturare la pellicola, di indirizzarla in una ben precisa direzione, di rendere i passaggi narrativi funzionali al contenuto che si voleva trasmettere.
Al netto di tanta inesperienza e di qualche eccesso, Jimmy della collina è un film maturo, che ha qualcosa da dire sul mondo e sulla vita, portatore di uno sguardo mai banale, mai stereotipato, utile al cinema italiano.