I tre giorni del condor: 5 motivi per riscoprire un grande classico del cinema

Ecco i 5 motivi per riscoprire un grande classico del cinema come I tre giorni del condor, il film di Sydney Pollack con Robert Redford disponibile su Infinity.

Robert Redford ne I tre giorni del condor
Robert Redford ne I tre giorni del condor

Ci sono film che sembrano parlare al pubblico di ogni epoca. Film che, nonostante abbiano qualche decennio di vita, sembrano girati in tempi recenti e non hanno perso nemmeno un grammo della loro potenza espressiva. E nemmeno del modo in cui riescono a coinvolgere lo spettatore. I tre giorni del condor è uno di quei film. Diretto da Sydney Pollack e con protagonista Robert Redford, questo thriller del 1975, nato negli anni della New Hollywood e che racconta la storia di un agente della CIA che si ritrova immerso in un pericoloso gioco di complotti, è ancora oggi moderno e, seppur mai esplicitamente citato, un'opera seminale per il genere. Presente in alta definizione nel catalogo di Infinity, ecco quali sono i 5 motivi per riscoprire un grande classico del cinema come I tre giorni del condor.

1. Una coppia di protagonisti affascinanti

I tre giorni del condor: in scena Robert Redford e Faye Dunaway
I tre giorni del condor: in scena Robert Redford e Faye Dunaway

Se è vero che il cinema è l'arte del vedere, allora I tre giorni del condor mette in mostra una coppia di protagonisti affascinanti sui cui non possiamo che posare lo sguardo. Robert Redford non ha bisogno di presentazioni: si era già fatto conoscere negli anni Sessanta, ma è proprio nel decennio successivo (di cui il film di Pollack fa parte) che il suo talento viene consacrato definitivamente. Robert Redford negli anni Settanta è uno degli attori più in voga nel cinema americano, riuscendo a spaziare da grandi film vincitori di Oscar (come Il grande Gatsby o Tutti gli uomini del presidente) a pellicole più indipendenti. Proprio sul cinema indipendente, Redford con il regista Pollack creerà nel 1990 il Sundance Festival, tutt'oggi uno dei più importanti festival cinematografici. Al suo fianco, in questo film, un'attrice altrettanto celebre e altrettanto sulla cresta dell'onda in quegli anni. Stiamo parlando di Faye Dunaway, una vera e propria icona della New Hollywood (era lei la Bonnie di Gangster Story di Arthur Penn, uno dei primi film di rottura della Vecchia Hollywood) comparsa anche in Chinatown di Roman Polanski. I due attori riescono a creare una coppia assolutamente perfetta ne I tre giorni del condor, che vince la prova del tempo e rimane cristallizzata in un fascino immortale.

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2. Il thriller della paranoia

Robert Redford ne I tre giorni del condor
Robert Redford ne I tre giorni del condor

Amanti del brivido e della suspense, I tre giorni del condor è un film assolutamente perfetto per soddisfare i bisogni di due ore imprevedibili. Sin dai titoli di testa, in cui una macchina da scrivere batte sui fogli di carta in maniera automatica, entriamo in un thriller di paranoia che non lascia scampo. Persino il finale, enigmatico e inquietante, lascia presagire un alone di mistero insondabile. Seguendo il protagonista, perfettamente inserito nella società, fino a dubitare di ogni azione e di ogni parola, I tre giorni del condor catapulta lo spettatore in un labirinto inscrutabile, in un campo aperto di nebbia dove la via maestra è perduta. Capace di risultare attualissimo per l'uso della tecnologia, il film di Pollack riesce ad appassionare anche gli spettatori più giovani che possono ritrovare una realtà non troppo distante dalla nostra. Perché la paranoia e il complottismo sono ancora ben presenti nella nostra società, una radice che non si estirpa facilmente e che, al cinema, mantiene intatto il suo fascino misterioso.

3. Il racconto di un'America fratturata

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I tre giorni del condor: una scena

Nell'ultimo anno abbiamo assistito al racconto di un'America fratturata e segnata da profonde divisioni: l'hanno raccontato le cronache quotidiane e persino lo stesso cinema d'intrattenimento, in maniere diverse (pensiamo al recente sequel di Borat, giusto per fare un esempio). È una divisione che nasconde una mancanza di fiducia nelle istituzioni e dell'idea che l'America sia veramente un Paese perfetto. Ed è dallo stesso sentimento politico che nasce I tre giorni del condor, che oltre a basarsi sugli stilemi del film di spionaggio e di genere, compie un discorso ben più politico. Il cittadino americano può fidarsi dei servizi segreti e di ciò che dovrebbe mantenere l'America un Paese libero? È un film che nasce dallo scandalo Watergate (che solo un anno dopo, sempre con Robert Redford, verrà raccontato in Tutti gli uomini del presidente), dalla sfiducia della guerra in Vietnam e da un generale senso di disillusione sul ritratto che i cittadini stessi davano dell'America. Ed è un film che punta il dito sulle comunicazioni, sulla connessione che hanno i dispositivi sull'uomo e su come proprio l'uomo comune sia costantemente seguito, registrato, osservato. Non è tanto diverso dai problemi legati alla privacy, alla paranoia di essere controllati, alla nostra connessione sul web di oggi che, in qualche modo, viviamo anche noi. Per questi motivi il film, nonostante i 46 anni di vita, è ancora oggi attuale, colmo della stessa forza che aveva all'uscita.

4. Come gestire la suspense

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I tre giorni del condor: una scena

Non si può raccontare un film di spionaggio e paranoia senza saperlo fare. La regia di Sydney Pollack è un vero e proprio elemento di valore all'interno del film. Grazie all'utilizzo del grandangolo, capace di schiacciare le prospettive e inserire il protagonista nella massa della città di New York, il film ha un sapore quasi documentaristico, dove il realismo della messa in scena confonde la finzione narrativa. E non solo: perché il vero gioco di prestigio di Pollack è quello di dar vita a una serie di situazioni, giocando con gli stereotipi del genere, portando lo spettatore stesso a dubitare del ritmo di una città intera. Le persone comuni che tutti noi incontriamo per strada, anche per un attimo, diventano potenziali pericoli. Basta indossare un cappotto o degli occhiali da sole, basta trovarsi in una cabina telefonica intenti a conversare con qualcuno, basta uno sguardo veloce o un'espressione dubbiosa, ed ecco che cresce il dubbio. Un gioco tra spettatore e personaggi che aumenta la paranoia e il senso di insicurezza che dà forza al film. L'occhio della macchina da presa che coinvolge le telecamere di sicurezza, gli schermi, le stampanti, i nastri magnetici: il conflitto tra vero e falso e tra uomo e macchina sembra divorare la stessa luce della vita, lasciando intorno al personaggio di Condor solo la tenebra. Il film di Pollack è un perfetto esempio di cinema che fa leva sulla suspense, come pochi altri sono riusciti a fare.

5. Le influenze nel cinema contemporaneo

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I tre giorni del condor: una scena

I grandi capolavori vengono costantemente citati e omaggiati. I tre giorni del condor non fa eccezione e vogliamo solo citare uno dei film più famosi e moderni che costruiscono un gioco di riferimenti e di legami con l'opera originale. Forse per creare un ennesimo collegamento post-moderno, forse per semplice casualità (vogliamo rimanere col dubbio), Robert Redford è tra i personaggi principali di Captain America: The Winter Soldier, il film dei Marvel Studios che gioca con lo stesso tema della paranoia e dell'insicurezza. Come nel film del 1975, il genere thriller spionistico riesce a mettere in scena una generale incertezza da parte dell'eroe che si ritrova invischiato in un complotto più grande di lui. È forse questa la maggior vittoria di un film che le nuove generazioni potrebbero considerare "vecchio": rivivere sotto nuova forma, ripresentarsi in un ambito più pop mantenendone però le caratteristiche fondamentali. Per lo stesso motivo, è bene riscoprire l'originale, lì dove tutto era partito, un classico del cinema che non lascia scampo e che sa come far partecipe lo spettatore. Su questo non si può dubitare.