Gunda, Victor Kossakovsky: “Col bianco e nero catturo gli sguardi”

La nostra intervista a Victor Kossakovsky, regista di Gunda, il documentario presentato al Torino Film Festival 2020.

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Gunda: una sequenza

Partito da Berlino nella neonata sezione Encounters, accolto con favore in vari festival internazionali, candidato agli European Film Awards, Gunda arriva al Torino Film Festival dopo un cammino positivo che lascia ben sperare in un futuro promettente anche nella stagione dei premi che si sta avviando con fatica e ritardo. Si tratta di un documentario che segue un maiale e altri animali di una fattoria per mostrarci la sensibilità di questi animali e raccontarci una storia profonda e delicata attraverso la sola forza delle immagini.

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Gunda: una scena del film

Merito dello sguardo del suo regista Victor Kossakovsky, della sua scelta di uno splendido bianco e nero capace di catturare l'intensità emotiva degli animali che osserva, della sua sensibilità nel costruire un film che accompagna il valore e l'importanza dei temi a una qualità cinematografica fuori dal comune. Gunda ha colpito anche Joaquin Phoenix al punto da convincerlo a sostenerlo nella produzione e distribuzione, ma il suo cammino parte da lontano e da una duplice motivazione che il regista ci ha raccontato in apertura della nostra interessante chiacchierata.

Due motivi per raccontare la storia di Gunda

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Gunda: una scena del film

Uno degli aspetti evidenti nel guardare Gunda è l'urgenza di Victor Kossakovsky di comunicare qualcosa e allora la nostra chiacchierata non poteva che partire dalle motivazioni che lo hanno spinto a realizzare questo film che, a detta del regista, sono tante: la prima è la voglia di raccontare una storia senza bisogno di parole e musica, un'idea che aveva cercato di realizzare più volte anche in precedenza, ma sempre convinto a seguire una strada più tradizionale. "Secondo me sono i film migliori, perché attingono alle origini del cinema in cui le immagini funzionavano da sole" ci ha detto il regista che spiega come anche la scelta del bianco e nero vada in questa direzione.

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Gunda: un'immagine

Fare qualcosa che fosse puro cinema, quindi, che comporta anche l'attenersi a un'altra caratteristica del mezzo: mostrare qualcosa che non si vede normalmente, "o che si sceglie di non vedere. Perché noi uccidiamo altri esseri viventi, ma scegliamo di non vederlo." E questo si ricollega alla sua seconda grande motivazione per realizzare Gunda: "è facile fare film su ciò che si capisce ed è meglio non farli" ci dice spiegando come non riesca a capire il "dualismo in cui viviamo", il parlare di riscaldamento globale, cambio climatico e tanti altri problemi, ma senza far nulla per risolverli. "Uccidiamo animali" ci dice con evidente partecipazione, elencando le incredibili quantità di galline, mucche e altri animali macellati, sottolineando più volte come siano "miliardi, non milioni", insistendo su un punto fondamentale: "uccidiamo e scegliamo di non pensarci. Siamo una parte piccolissima del mondo, ma pensiamo che tutto ci appartenga."

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L'importanza del bianco e nero

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Gunda: un momento del film

Un punto di partenza forte, da convogliare in una storia altrettanto potente. La nostra curiosità si sposta su come sia riuscito nella missione apparentemente impossibile di riprendere gli animali sin dentro la loro stalla, senza pregiudicare il valore artistico di una fotografia dal grande impatto emotivo. "Noi e le nostra camere eravamo fuori, ma le nostre lenti erano dentro la stalla con gli animali." Per quanto riguarda la splendida illuminazione, spiega come il suo ricordo sia andato alle strutture per animali che aveva visto da giovane in Russia, con buchi nei tetti che creavano suggestivi giochi di luce. Come ottenere il medesimo effetto? "Ho usato le strobosfere che tutti conosciamo per le discoteche" ha raccontato, "orientando la luce su di esse per ottenere quelle gocce di luce che potete vedere."

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Gunda: un'immagine del film

Ma è stata necessaria anche tanta documentazione per capire gli animali, non infastidirli e soprattutto non perdere i momenti più importanti, come quello della nascita che era fondamentale documentare, o la prima esperienza della gallina fuori dalla sua gabbia, o ancora la gioia delle mucche fuori dalla stalla dopo il lungo inverno. Momenti impreziositi dalla scelta del bianco e nero, che risale ai primi test fatti: "col bianco e nero riesci a catturare la personalità, lo sguardo" mentre non è così quando si gira a colori. Avverte infatti: "Quando giri a colori noti tutti: l'erba, il cielo, tutto, come in una cartolina."

Un casting perfetto

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Gunda: una sequenza del film

Importante parlare anche delle star del film, il maiale Gunda, che il regista paragona a Meryl Steep per la capacità di recitare con lo sguardo, e gli altri animali che vivono la storia del film. Trovarli è stato molto semplice a detta di Kossakovsky: "Ho trovato Gunda al primo minuto della ricerca, nella prima fattoria che abbiamo visitato. L'ho visto e ho capito che sarebbe stato perfetto". Un casting così naturale e perfetto da avergli consentito di girare soltanto sei ore per i novanta minuti di pellicola, come nel "cinema di vecchio stampo." Quanto alla gallina, racconta la storia bellissima delle persone che in Inghilterra comprano le galline non abbastanza produttive per salvarle dal macello. Quella del film è una di esse, per la prima volta liberata dalla sua gabbia. Ottime scelte che l'autore è riuscito a portare con impagabile intensità.

Un futuro più che incerto

La sensibilità di Victor Kossakovsky ci ha spinti ad allargare il discorso alla situazione mondiale e il futuro che ci aspetta, che, inutile a dirsi, il regista non vede in modo molto positivo. Al di là della peculiare e difficile situazione che stiamo vivendo, il regista di Gunda ci tiene a precisare che anche i prossimi venti anni saranno segnati dalle difficoltà: "120 anni fa eravamo un miliardo di esseri umani, ora sono diventati otto e per il 2050 si potrà arrivare a dieci. Dove vivranno tutte queste persone?" ci chiede provocando la nostra reazione. "Dovremmo iniziare oggi stesso a costruire appartamenti per ospitarli" e farlo con regolarità e in gran numero per i prossimi vent'anni. Uno scenario da brivido che non fa che confermare l'arroganza dell'essere umano nel credersi proprietario del pianeta su cui vive, mentre lo abita da un tempo irrisorio se paragonato agli animali che sono qui da milioni di anni.