Recensione Identità sospette (2006)

In un fantomatico magazzino, chiuso dall'esterno e circondato dal deserto, si svegliano, uno dopo l'altro cinque uomini, rimasti senza memoria a causa dell'esposizione a sostanze tossiche.

Gli eredi dell'Enigmista

L'anello mancante tra I soliti sospetti e Saw - l'Enigmista. Certo che se sceneggiatori e registi di questo Identità sospette avessero un po' della fantasia e della sfrontatezza dell'ufficio marketing Eagle (non considerando la titolazione e la brutta locandina) forse il loro film avrebbe avuto più verve. E invece è rimasto in cantina per ben due anni e di certo non è invecchiato molto bene. In un fantomatico magazzino, chiuso dall'esterno e circondato dal deserto, si svegliano, uno dopo l'altro cinque uomini, rimasti senza memoria a causa dell'esposizione a sostanze tossiche. Tutti e cinque presentano tracce di violente colluttazioni, chi è legato a una sedie e chi ammanettato e ferito da un colpo di arma da fuoco. Mentre riaffiorano i primi ricordi e si chiariscono i ruoli, le ostilità deflagrano, mitigate solo dalla necessità di una fuga collettiva, prima dell'arrivo di una banda di criminali che ha organizzato un rapimento, con la complicità di uno dei cinque.

Chi siamo senza memoria di noi stessi? Cosa dà fondamento alla nostra identità quando le nostre azioni

cessano di essere il risultato delle nostre esperienze biografiche e del nostro quadro di riferimento morale? Questioni filosofiche millenarie (e di non poco conto) che il cinema ha fatto sue sin dalla sua nascita per la sua intrinseca attitudine alla falsificazione e alla ri-creazione della realtà. Ma se tali riflessioni hanno dato luce a un elenco sterminato di opere di grande rilievo -- l'ultima del lotto il notevole The Prestige - Identità sospette prende la strada più facile e naviga in queste acque senza il minimo rigore o intento teorico, mettendo in scena un gioco di specchi e scatole cinesi frettoloso e convenzionale che utilizza tali suggestioni solo strumentalmente, in modo da favorire il meccanismo di progressivi svelamenti che dovrebbe fornire senso a un plot colmo di rimandi e situazioni viste e riviste.

Simon Brand, qui al suo esordio (prima di Paraiso Travel) gira già con stile anonimo e dimesso, calibrando col misurino toni e situazioni cool da thriller post Saw a soluzioni fortunatamente più sobrie. Ne esce fuori un prodotto ibrido, totalmente privo di uno sguardo personale e che non si affranca mai stilisticamente della friabilità dei contenuti e della scarsa vena di un cast

potenzialmente superiore alla media del genere. Menzione in negativo al solito per James Caviezel e purtroppo anche per sua maestà Peter Stormare che arriva, fa un paio dei suoi sguardi, due scazzottate, incassa l'assegno e finisce sepolto.