Recensione Segretario particolare (2005)

'Segretario particolare' va controcorrente, affrontando con durezza e senza molte pretese il mondo degli anziani e le loro problematiche: la malattia, la solitudine, la malinconia.

Discretamente anziani

A distanza di più di due anni dalla realizzazione (la produzione del film risale al 2004) arriva nelle sale Segretario particolare, film di Nicola Molino, il quale, di fronte alla difficoltà distributiva che il film ha incontrato, ammette a muso duro di non saperne, purtroppo, nulla.
Fatto sta che l'argomento, in una produzione cinematografica odierna tutta dominata da un certo giovanilismo, incentrata sulla soddisfazione e sul compiacimento di quella fascia di pubblico che la fa da padrona nelle sale, non è dei più semplici. Molino infatti racconta una storia di anziani, che ruota attorno al mondo delle piccole cose degli anziani, usando una cifra scura e disperata nel mettere in scena le dinamiche di ricordo e di rimpianto che s'innestano a partire dai personaggi.

Mettiamo subito in chiaro che è un film senza pretese tecnico-artistiche, girato in economia di mezzi e senza virtuosismi. Non si vada quindi a cercare la raffinatezza estetica nella pellicola. Tutto l'interesse e il valore della pellicola consta della presenza di Sergio Graziani, storico e eccellente esponente della scuola di doppiaggio italiana, nonché grandissimo attore di teatro, nella veste di protagonista - è lui il Segretario del titolo - affiancato da un altrettanto bravo Cosimo Cinieri, anch'egli noto attore teatrale.
Tralasciando la sottotrama socio-politica (Graziani interpreta il segretario di un dirigente di partito all'epoca di Mani Pulite) è interessante vedere l'attenzione e un certo garbo discreto con il quale vengono affrontati i temi propri della generazione "dei nonni", problemi e tematiche, quali la malattia, la solitudine, il disagio sociale e la diffusa malinconia, che vengono quotidianamente estromessi, estirpati dal comune modo di pensare, quasi fossero mali assoluti da cui fuggire, e non il segno del declino, inevitabile per ogni uomo, di mente e corpo.

Al di là di una certa ingenuità di impianto, che emerge sia, come già detto, da una povertà dell'immagine filmica, sia da una costruzione non impeccabile di alcune scene, si rimane colpiti da questa attenzione davvero fuori dal comune per dinamiche così problematiche, anche a livello di esportabilità commerciale (e qui si capiscono le difficoltà distributive), affrontate, d'altra parte, con uno sguardo così cupo e tutt'altro che pacificante (la sequenza finale è pacificante quanto un cazzotto nello stomaco) che rendono il prodotto ancor più difficilmente digeribile.
Un film per palati fini, un film (anti?)pedagogico e riflessivo, un film che, come tanti altri purtroppo, passerà quasi inosservato.