Recensione Non aver paura (2005)

Oscillando tra il dramma familiare e il giallo psicologico, il film non riesce a trovare una propria identità e finisce col risultare una parodia del cinema thriller di quarta serie.

Chi ha paura dell'uomo nero?

Il cinema italiano confeziona un altro autogol producendo l'ennesimo imbarazzante film di scadente qualità, nel quale restano coinvolti stavolta due ottimi attori come Laura Morante, la cui bravura è pari solo alla sua bellezza, e Alessio Boni, che, accettando di prendere parte ad un simile disastro, dimostrano solo quanto sia ormai profonda la crisi del nostro cinema. Principale colpevole di questo brutto pasticciaccio è Angelo Longoni, regista e co-sceneggiatore, insieme a Massimo Sgorbani, di Non aver paura, film un po' dramma familiare, un po' giallo psicologico che, non riuscendo mai a trovare una propria identità, oscillando continuamente tra i due generi, finisce col risultare una parodia del cinema thriller di quarta serie, del quale saccheggia meccanismi narrativi ed espedienti linguistici. Il problema è che Longoni si prende sul serio, lanciandosi in un'esasperante, quanto patetica, ricerca della tensione.

La storia è quella di Franco (Alessio Boni) e Laura (Laura Morante), una coppia di genitori romani che, dopo la separazione, si danno battaglia per l'affido del figlio, rivelando nei continui battibecchi soltanto un grande egoismo che li porta ad ovattare il piccolo Luca (Marco Ragno) di bugie, pur di nascondergli la guerra che si stanno facendo. Dentro di loro un complesso di paure che li costringeranno a rifugiarsi in piccoli segreti (Laura lavora in una hot-line, Franco ha una relazione con un'altra donna, Luca si inventa un amico immaginario) e a restare immobili in quell'ombra, prima che gli eventi sfuggano loro di mano, portando alla tragedia. Storia debole e già ampiamente indagata dal cinema, così Longoni e Sgorbani decidono di colorarla delle atmosfere del noir e della tensione narrativa del thriller. La trovata è quella di un presunto pedofilo che tormenta Laura col suo moralismo e gode spaventandola, minacciando di coinvolgere suo figlio nelle sue fantasie perverse, un espediente per dare credibilità a pedinamenti, inseguimenti e violenze che mascherano la realtà delle cose, ma anche un equivoco che metta a nudo le paure dei protagonisti e riveli le loro fragilità.

La sceneggiatura di Non aver paura, che fin dal titolo tradisce la sua assoluta mancanza di originalità, è uno schiaffo all'intelligenza dello spettatore, dotato ormai di quel minimo di competenze metatestuali, che non fa alcuna fatica a prevedere lo sviluppo degli eventi e non può che sorridere amareggiato e scuotere la testa di fronte al tentativo bislacco di Longoni di montare al massimo la suspense, servendosi di musica ad hoc e rabbuiando la fotografia, finendo solo col rendere ancora più ridicolo il tutto. Il crescendo di drammaticità non è che una litania di abusati meccanismi tensivi e l'ultima parte del film, che nelle intenzioni del regista vorrebbe essere un susseguirsi di colpi di scena, è insostenibile. Un film, insomma, che per scrittura e regia sfigurerebbe anche come episodio di una qualsiasi fiction nostrana. Qui invece siamo in sala e guardare da dentro i chiodi chiudere la bara del cinema italiano è un'esperienza terribile.