Baby Gang, la recensione: il racconto sulle baby gang della periferia romana

La recensione di Baby Gang: il film di Stefano Calvagna, con attori non professionisti, è la storia di cinque ragazzi che cercano fortuna attraverso la criminalità

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Baby Gang: un'immagine del film

Questa recensione di Baby Gang parte innanzitutto da una considerazione: oggi in Italia, realizzare un film del genere è necessario grattare via un substrato che negli ultimi si è particolarmente ispessito, visto il continuo sovrapporsi di pellicole dello stesso filone.

Dalla svolta di Romanzo criminale fino a Suburra, negli ultimi quindici anni un certo tipo di narrazione sulla criminalità ha vissuto una nuova vita. Autori come Giancarlo De Cataldo (autore del libro di Romanzo Criminale) o Roberto Saviano e grandi registi come Stefano Sollima o Matteo Garrone si sono imposti al grande pubblico portando questo tipo di racconto su vette precedentemente inesplorate in Italia, proponendo soluzioni nuove e, sostanzialmente, spalancando le porte a tutto un ciclo produttivo inedito.

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Baby Gang: una sequenza del film

In Italia però c'è chi la strada, quella nuda e cruda, la raccontava da anni, da Pier Paolo Pasolini fino a Claudio Caligari. È da questa unione tra nuovo che avanza e solide basi storiche che ogni regista contemporaneo che si approccia a questo cinema di genere deve necessariamente attingere. Il processo di per sé è sacrosanto, ma perché il nuovo film riesca, c'è bisogno di aggiungere qualcosa di personale a queste basi.

Una trama semplice e ben sviluppata

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Baby Gang: una scena del film

La trama di Baby Gang, come è possibile intuire già dal titolo, segue le vicende di cinque ragazzi della periferia romana che si avvicinano alla malavita per cercare di tirar su qualche soldo. Man mano che il giro si allarga, facendoli passare dal furto e lo spaccio alla baby prostituzione delle coetanee, verranno progressivamente inghiottiti nel buco nero di un'esistenza che non fa per loro e tutti, chi in un modo chi in un altro, ne usciranno sconfitti.

Improvvisazione sul set

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Baby Gang: una sequenza del film di Stefano Calvagna

Secondo quanto dichiarato dal regista, gli attori che ha scelto per i suoi personaggi non sono professionisti, ma i classici ragazzi "presi dalla strada", a cui non è stato dato un copione. Durante le riprese, alla generica trama da tutti conosciuta, si aggiungevano le indicazioni del regista Stefano Calvagna e la scena si creava tra improvvisazione e scampoli di esperienze di vita rievocate dagli stessi protagonisti. In pieno stile Calvagna, i fatti narrati hanno un'ispirazione cronachistica, dalle baby gang alla prostituzione minorile. È proprio qui che torniamo al discorso di prima. Per fare un buon cinema non serve necessariamente eludere il già detto o innovare: ci sono centinaia di film bellissimi che non dicono niente di nuovo rispetto a quanto sia già stato detto. Il punto è che se si vuole dire qualcosa che si conosce, si dovrebbe quantomeno farlo in modo diverso da quanto è già stato fatto.

La terra dell'abbastanza dei fratelli D'Innocenzo, per esempio, non aggiungeva niente in termini contenutistici rispetto a quanto non avesse fatto per esempio Caligari con Non essere cattivo, eppure le soluzioni registiche dei fratelli e le ottime interpretazioni dei protagonisti hanno reso il film un must see del 2018. Baby Gang, oltre a un livello recitativo decisamente basso, non offre uno sguardo diverso sotto nessun termine, e anzi nel tentativo di connotarsi nel già citato filone, fa due errori decisivi: prima dell'inizio del film una scritta dichiara esplicitamente che si è seguito un metodo pasoliniano, e alla fine in sottofondo viene messo Franco Califano, che come sappiamo è stato un riferimento musicale per la banda della Magliana.

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Baby Gang: un'immagine drammatica del film

Al di là del metodo usato, usare il termine "pasoliniano" suona un po' pretenzioso, perché è un aggettivo che si può guadagnare col parere di chi guarda, non assegnandoselo da soli. Per quanto riguarda Califano, invece, voler richiamare a un immaginario così ben definito, in un film che ha la "veridicità" come centro (attori non professionisti, violenza spiccata, l'uso del dialetto) fa esattamente l'effetto opposto: vedere dei sedicenni che nel 2019 ascoltano il Califfo, ci si crede poco.

Conclusioni

Come abbiamo rilevato in questa recensione di Baby Gang, si tratta di un film a basso budget che fa della povertà la sua estetica principale, tra scenari poveri e attori non professionisti ma il risultato non è sufficiente per varie motivazioni, la più determinante delle quali è che Calvagna ha disegnato una storia troppo simile alle tante altre che negli ultimi anni hanno raccontato la piccola criminalità, quella giovanile che è costretta a soccombere, e soprattutto lo ha fatto in un modo così telefonato da risultare raffazzonato.

Movieplayer.it
1.5/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • Nemmeno quando le cose sembrano andare bene per i ragazzi, il crimine non viene ripreso sotto una lente glamour.

Cosa non va

  • Non sembra esserci la volontà di spiccare rispetto all'estesa produzione degli ultimi anni su contenuti sostanzialmente identici.
  • Gli attori non sono professionisti, è vero, ma il livello recitativo è troppo basso.
  • I personaggi non hanno sfumature.