Recensione L'amore non basta (2007)

Tra i due dovrebbe essere amore, seppure titubante, ma è solo parole (quelle consegnate alle pagine di un diario-testamento e quelle svogliate dei dialoghi) e sguardi sempre rivolti in direzioni diverse.

All'amore sterile

L'amore non basta a fare un film. Raccontare sensazioni impalpabili, dipingere atmosfere e stati d'animo mettendo da parte la storia è ambizione che richiede un talento particolare, non comune. Ci sono film che cantano, che si gonfiano di emozioni e brividi soltanto accennati che sanno essere cinema illuminante per occhi, cuore e carne. Bisogna essere bravi però, portare la propria sensibilità nelle immagini che si raccolgono. L'amore non basta è evidentemente un film non riuscito, che si adagia sulla sospensione per giustificare la mancanza di profondità e di ricchezza emozionale di un soggetto in continuo affanno, ridondante e a forte rischio anestetizzante. Stefano Chiantini prova ad uscire fuori dai canoni convenzionali seguiti meccanicamente dai propri colleghi cineasti, scrive un film sull'amore che non può, che non basta, che resta nelle intenzioni, incapace di farsi concreto. Tocco e sguardo del regista bisbigliano l'incomunicabilità che tiene distanti uomo e donna, ma non siamo nel miracolo del gusto orientale e i propositi si trasformano in incertezze, quando non in insipidi pasticci. I protagonisti del film di Chiantini sanno semplicemente sfiorarsi, incapaci come sono di viversi. Ognuno di loro perso dietro obiettivi a portata di mano, ma irraggiungibili, dietro fantasmi tramutatisi nei propri migliori amici, in dolci ossessioni che sembrano essere gli unici punti fermi di una vita dominata dall'incertezza.

Non bastano nenie acustiche a generare malinconia, non sono sufficienti gli sguardi tristi dei personaggi per far passare i sentimenti che li hanno determinati. Tanto più che la coppia creata per lo schermo da Chiantini manca di alchimia e soffre di una grave mancanza di credibilità: Giovanna Mezzogiorno (insolitamente pacata, ed è già cosa buona, ma terribilmente impacciata quando prova a virare il registro verso la commedia) è donna che si allontana progressivamente dall'adolescenza e si arrende alla ragione (sue le parole del titolo, suo quello sguardo per forza cinico su una vita che non può essere riempita da due cuori e una capanna, perché c'è bisogno di cemento, di sicurezze, di equilibri stabili da raggiungere a livello personale, sganciandosi dagli affetti); Alessandro Tiberi non può sfuggire a un volto e a una corporatura da ragazzino, nonostante i tormenti interiori (ed esterni) che lo tengono costantemente sui carboni ardenti e lo portano ad abbracciarsi da solo, a vagare per casa come in trance. Tra i due dovrebbe essere amore, seppure titubante, ma è solo parole (quelle consegnate alle pagine di un diario-testamento e quelle svogliate dei dialoghi) e sguardi sempre rivolti in direzioni diverse.

Chiantini prova a pennellare questo amore che però non ha colori, ma solo sfumature di un grigio che a vederlo raccontare c'è solo da restarne infastiditi. Perché a mancare è prima di tutto l'amore per i personaggi, lontanissimi e inavvicinabili, che hanno troppo per la testa per mettersi a rincorrere quei sentimenti in teoria puri e potenti e la passione che dovrebbe andare a braccetto con essi. E più di una volta si ritrovano a girare imbambolati nell'inquadratura che non sa penetrarli, che si spalma sulla superficie quando ciò che conta è tutto oltre le parole e gli affanni. Non giova certo al film una colpevole mancanza di ritmo o l'ostinata tensione verso una commedia che non può esistere, verso una comicità che neppure Rocco Papaleo, chiamato in questa occasione anche a scrivere la sceneggiatura, riesce a portare al film. A distrarci è la goffaggine di una sceneggiatura sbagliata, una regia anonima che tentando la carta dell'autorialità si dipinge di un pallore che affatica e disinteressa.

Capita perciò che anche i colpi di scena passino sotto silenzio, che i volti più interessanti (come quelli di Alessandro Haber e Marit Nissen) siano relegati in parti poco approfondite quando avrebbero potuto offrire al film una marcia in più, anche perché il regista si intestardisce a cogliere lampi di infelicità nei primi piani insistiti dei due protagonisti tristemente fuori parte, interessandosi solo per dovere a quello che li circonda, sprecando quelle figure e quegli aspetti che potrebbero fornire uno spunto d'interesse, dal lavoro di lei che le impedisce di fatto una stabilità negli affetti alle aspirazioni da sceneggiatore di lui che creano una storia parallela alla realtà, ma destinata a rimanere senza senso. L'amore di certo non basta, ma quando resta sospeso a mezz'aria ci sarebbe bisogno almeno di un soffio di poesia per rendergli onore. Chiantini evidentemente è troppo preso a prendere fiato, qualcuno dovrebbe fargli sapere che più che il tentativo quel che conta è il risultato.