Recensione The Next Three Days (2010)

Paul Haggis si conferma ottimo narratore, anche laddove si tratta di rielaborare soggetti non suoi: la fonte, qui, è un thriller francese del 2008 intitolato Pour Elle, e l'intenzione del regista è quella di approfondire alcuni temi delineati, ma solo sfiorati, dallo script originale.

72 ore per la (propria) vita

Paul Haggis è, da sempre, sceneggiatore più che regista. Non è certo un mistero che il premiato autore di Crash - Contatto fisico e Nella valle di Elah sia stato innanzitutto, prima che un cineasta di successo, un ottimo creatore di storie per lo schermo (e prima ancora per la televisione) con un'abilità particolare nel delineare caratteri a tutto tondo, credibili e problematici, e nel descrivere laceranti dilemmi umani che, laddove sono stati poi assemblati ed affidati alla partitura di un maestro (leggasi: Clint Eastwood) hanno dato spesso vita ad opere memorabili. E' difficile, infatti, negare che tra i film più riusciti del vecchio Clint negli ultimi anni vi siano pellicole del calibro di Million Dollar Baby e Lettere da Iwo Jima, entrambi usciti dalla penna dello sceneggiatore/regista dell'Ontario. Ed è difficile negare che il motivo principale della riuscita delle due precedenti regie di Haggis stesse in script attentamente costruiti e orchestrati, più che in una regia che non faceva che adeguarsi a una struttura narrativa (collettiva e in qualche modo "altmaniana" in un caso, da classico thriller nell'altro) che da sola, con scelte a volte furbe ma sempre funzionali, decretava gran parte della riuscita del film. E' quindi un po' curioso che, per questa terza regia di Haggis, che è anche il primo film da lui prodotto con la sua HWY 61, il regista abbia scelto un soggetto altrui, precisamente un thriller francese del 2008 intitolato Anything For Her (Pour Elle). L'obiettivo dichiarato era quello di approfondire alcuni temi delineati dallo script originale, ma appena sfiorati nei circa 90 minuti del film diretto da Fred Cavayé.


La trama risente di chiare ascendenze hitchcockiane: una persona viene uccisa, e ad essere accusata del delitto è una donna come tante, una madre di famiglia la cui vita tranquilla e ordinata precipita d'un colpo (insieme a quella dei suoi cari) nel peggiore degli incubi. Suo marito, assolutamente convinto dell'estraneità della donna a quell'omicidio, si batte in tutti i modi per provare la sua innocenza, tenta tutte le vie legali per tirarla fuori dal carcere, prima di decidere per la scelta estrema dell'evasione. L'elemento interessante della sceneggiatura, mutuato dalla pellicola originale, è tuttavia l'ambiguità, sciolta solo nel finale, sulla reale colpevolezza della protagonista: un elemento che lo script tiene costantemente e intelligentemente sottotraccia, concentrandosi piuttosto sulla caparbia, disperata determinazione dell'uomo a restituire a sua moglie (oltre che a sé e al loro bambino) una vita degna di essere vissuta. Una determinazione che si mescolerà alla ferrea convinzione del protagonista sull'innocenza della donna che ama, ma che finirà per generare un'imprevedibile, e pericolosa, tensione tra i due al momento della messa in atto del piano.
Haggis si mostra ancora una volta a suo agio con personaggi complessi, preda di dilemmi morali che li scuotono nel profondo, catapultati in situazioni apparentemente senza via d'uscita; in cui il male minore sembra l'unica, ancorché non scontata, scelta. Pezzi di potente scrittura cinematografica (tutto il prologo, eccellente nel delineare una tensione sotterranea tra due caratteri femminili) si integrano in una struttura da thriller accattivante e sempre ricca di tensione.

Quello che manca un po' ad Haggis, che si conferma ottimo narratore anche laddove si tratta di rielaborare soggetti non suoi, è la mano del vero autore, di colui che sia in grado di assemblare per immagini una serie di eventi che, portati sullo schermo, non vengono filtrati da uno sguardo davvero personale. L'afflato "umano", profondamente tragico, che un regista come Eastwood sapeva dare alle vicende descritte dallo sceneggiatore resta molto lontano. Qui, troviamo un ritmo sostenuto, una tensione da thriller costruita in modo spesso magistrale, ma quasi mai una partecipazione emotiva agli eventi narrati che vada oltre i normali meccanismi di coinvolgimento del genere. Si segue l'intreccio con attenzione, ci si chiede cosa ne sarà del piano disperato del protagonista (a cui dà vita un Russell Crowe che si conferma attore valido e duttile, affiancato da una fragile ma a volte ambigua Elizabeth Banks) ma quasi mai si soffre davvero per le sorti dei due personaggi, trascinati come si è da un ritmo narrativo che fatalmente va a inficiare l'aspetto emotivo della vicenda. La difficoltà nel rendere vivi e pulsanti i drammi presenti in potenza nelle sue sceneggiature resta il limite principale del Paul Haggis regista, che comunque inanella una serie di sequenze visivamente pregevoli: da una tesissima scena ambientata nel carcere, in cui il catalizzatore della tensione è una chiave spezzata, a una corsa in automobile in cui uno sportello aperto dà vita ad attimi di puro terrore. Un finale che, se da una parte svela forse più di quanto sarebbe stato lecito attendersi, dall'altra ammicca con stile al destino e al caso, conferma la pregevole fattura visiva del film. Il limite di The Next Three Days sta tuttavia nel promettere di più, date le potenzialità del soggetto, di quanto riesca poi a mantenere: un buon thriller che aveva le carte in regola per essere anche e soprattutto altro. Se il bicchiere, poi, sia da considerare mezzo pieno o mezzo vuoto, questo sta allo spettatore deciderlo.

Movieplayer.it

3.0/5