I lati oscuri di Animanera
Portare sullo schermo un tema problematico, controverso, in larga parte rimosso, come la pedofilia non è certo cosa semplice. Se in un'opera cinematografica si vuole affrontare in maniera diretta la questione è necessario possedere un'enorme forza, morale e di sguardo. Certo, non è un compito impossibile: Mystic River di Clint Eastwood, Una Storia americana - Capturing the Friedmans di Andrew Jarecki, Mysterious Skin di Gregg Araki, per fare degli esempi, sono tre film che riescono a vincere la sfida proprio perché, in maniera diversissima l'uno dall'altro, si servono di prospettive inusitate e tangenziali per indagare il fenomeno.
Paragonare Animanera, esordio al lungometraggio di Raffaele Verzillo, alle opere in precedenza citate è di certo ingiusto. Ma il punto è che il film del regista casertano risulta totalmente incapace di approcciarsi alla materia trattata in maniera cinematografica. Questo non significa che la questione pedofilia sia stata presa con leggerezza, o che coloro che abbiano lavorato al progetto non si siano seriamente interessati al problema. Il regista, anche sceneggiatore assieme a Pier Francesco Corona, si è a lungo documentato sul fenomeno, come testimoniano le fonti bibliografiche citate addirittura nei titoli di coda. Questa preparazione rimane però sulla carta, e fuoriesce unicamente nelle didascaliche spiegazioni della psicologa interpretata da Giada Desideri che, con dovizia di particolari, ci illustra le svariate teorie accademiche su questo tipo di devianza. Il punto è che non si fa alcuno sforzo per tradurre tutto questo in immagini dotate di uno sguardo autonomo, ma piuttosto si scimmiottano consunti cliché del genere giallo e del serial thriller, contentandosi di ammantarlo e di nobilitarlo con un'esplicita denuncia sociale (come si evince dalla didascalia finale che riporta le statistiche sulle vittime di pedofilia in Italia).
Spiace dirlo, ma gli strumenti linguistici a disposizione di Verzillo non bastano nemmeno lontanamente a fornire una prospettiva complessa al delicato tema che si è deciso di affrontare. Di più: il regista non possiede neanche le coordinate di genere adeguate per confezionare un modesto thriller, scadendo persino in soluzioni al limite dell'imbarazzante (una per tutte, l'inspiegabile montaggio alternato che associa, non si sa bene per quale motivo, la violenza del pedofilo sul bambino con la scena d'amore tra Giada Desideri e Luca Ward). Così Animanera arranca incerto tra la vocazione di genere, che si rivela però del tutto disattesa, e le volontà di denuncia (ma a questo punto viene da chiedersi: perché non realizzare direttamente un documentario?). Da questa impostazione ne risultano frastornati anche tutti gli attori che si assestano su un registro da fiction tv nostrana (ma almeno Luca Ward, nel ruolo di commissario, risulta godibile nel suo riallacciarsi a pose e vezzi attoriali che ricalcano Luc Merenda e gli altri storici eroi del poliziottesco).
Raffaele Verzillo ha lottato molti anni per far approdare il suo film al cinema. Il suo sforzo è senz'altro encomiabile, e c'è da augurargli il successo del pubblico, almeno per il serio interessere dimostrato nel dare visibilità alle associazioni per la tutela dei minori. Ma forse la collocazione ideale per un prodotto di questo tipo sarebbe piuttosto la televisione.