Da circa un mese è al cinema, in Italia, l'ultimo film di Ursula Meier, regista franco-svizzera che in occasione del Bergamo Film Meeting ha fatto tappa in Italia per incontrare gli studenti della Civica scuola di Cinema Luchino Visconti, ai quali è stato mostrato Sister, penultimo film della regista. L'occasione è stata utile per poterci intrattenere con Ursula Meier a parlare non solo del suo ultimo film, ma anche del cinema in generale, con qualche spunto interessante sulla situazione italiana e del cinema in generale.
"È vero che tra Sister e La Ligne sono passati un po' di anni, ma nel frattempo ho avuto la possibilità di occuparmi di un film per la televisione, di un cortometraggio... poi, sono sincera: quando mi metto a lavorare su un film mi dedico completamente a esso, dedico tutte le mie energie, per questo cerco di stare lontana da qualsiasi altra proposta nel frattempo. Per me ogni film è un'esperienza totalizzante e devo sentirmi completamente coinvolta. Non vanno fatti solo per il gusto di farli. In ogni caso, prima di La Ligne - La Linea invisibile avevo già iniziato a scrivere un altro film, che spero di poter realizzare in meno tempo, stavolta".
L'esperienza reale calata nel contesto filmico
Nei film di Ursula Meier è possibile rintracciare una componente sempre molto legata alla famiglia, al suo essere disfunzionale, alle sue problematiche. Senza voler andare a indagare nel privato della regista, le abbiamo chiesto se ci fosse qualche collegamento con la sua famiglia in ciò che vediamo sul grande schermo: "Quando scrivi un film e decidi di raccontare qualcosa ti ritrovi sempre a toccare argomenti che riguardano te stesso, ma non in maniera letterale. La Ligne non è la storia della mia famiglia, ma vengo comunque da una casa molto grande, con due sorelle e un fratello: si parlava tanto, si ascoltava altrettanto e ho preso molto da quel contesto, sentendo discussioni, contraddizioni e seguendo quell'animo molto animato della famiglia stessa. Penso che la famiglia attualmente sia un vero tesoro perché rappresenta una delle ultime comunità esistenti: come se fossero delle piccole tribù, con tanta passione e soprattutto molto unite. Vi anticipo, però, che il mio prossimo film non sarà sulla famiglia".
L'utilizzo della musica nei film di Ursula Meier non è solo legato al tappeto musicale o alla colonna sonora, ma assume una vera e propria entità, diventa protagonista. In La Ligne - La Linea invisibile il pianoforte è come se fosse un personaggio calato in una trama che lo vede fulcro delle situazioni familiari: "Per Margaret è molto importante avere a che fare con la musica. All'inizio non sappiamo che lei è una musicista e lo scopriamo nel tempo, così da poter avere una fragilità diversa e noi un approccio diverso alla storia in sé. La musica diventa un collegamento al personaggio ed è anche quell'unica eredità che poi la madre trasmette alle figlie, in una famiglia che ha difficoltà a relazionarsi. Lo stesso concerto che c'è alla fine è la chiusura perfetta di un cerchio che inizia con un pianoforte suonato anche all'esterno, al freddo, che diventa una necessità. La musica permette di far sì che venga riconosciuta anche in maniera più sincera, con un'anima pulita".
La ligne - La linea invisibile, la recensione: Storie di confini invisibili
Da dove può ripartire il cinema
Senza voler sfociare nell'arroganza, potremmo dire che il cinema di Ursula Meier rappresenta una nicchia per l'Europa, soprattutto se paragonato ai numeri del cinema americano. Nonostante questo, però, è giusto denotare che anche il nostro cinema può risultare - anzi, sicuramente lo è - una nicchia per chi vive al di fuori dell'Italia e fruisce del nostro cinema con occhi estranei: "Sì, ma penso che l'Italia al momento stia vivendo una nuova giovinezza, con un nuovo filone artistico. Matteo Garrone mi ha colpito molto, ma non solo lui. Confesso che per un periodo non ne ho sentito parlare molto, del cinema italiano, ma adesso penso si stia riprendendo molto bene. Chiaro che quando avevo 12 anni ho iniziato da lì, da Rossellini, da Visconti, da Fellini: volevo addirittura imparare l'italiano per poter godere al meglio de La notte di Michelangelo Antonioni. Non volevo dover leggere i sottotitoli, ma ascoltare e capire, per questo ho iniziato anche a studiarlo". E in tutto questo la domanda viene spontanea, soprattutto se si parla di film che hanno segnato una carriera: "Il mio film preferito non è facile da individuare, perché vado molto a periodi, ma penso che Fanny e Alexander di Bergman sia un film totale, unico, in grado di contenere tutto al suo interno".
In chiusura, essendo molto di attualità, con Ursula Meier ci siamo concentrati sulla situazione che passa il cinema al momento. Se gli Oscar ci hanno insegnato che c'è ancora spazio per le storie à la The Whale, ci trasmette anche lo strapotere che film come Everything Everywhere All at Once continuano a esercitare sull'industria: "Piuttosto che domandarmi quale sia la direzione del cinema, mi domanderei in che modo possiamo far sì che le persone tornino in sala. Ho molti amici cinefili che oramai hanno abbandonato il cinema in favore delle piattaforme ed è veramente un peccato, perché si perde l'emozione della sala. Stiamo provando tutti a capire cosa dobbiamo fare, non solo noi registi, ma anche direttori, produttori. Adesso c'è un grande lavoro da fare per riuscire a essere nuovamente attrattivi. Certo è che i biglietti costano tanto (in Svizzera superano i 10 euro, in Belgio invece arrivano a 10), ma dobbiamo ripartire dai cinefili, da chi vuole esplorare e approfondire il rapporto che intercorre con i registi, gli sceneggiatori, i produttori: si può avere solo in sala questa magia".
E il prossimo film di Ursula Meier su cosa sarà, quindi? "Sarà sempre una questione di territorio, ci saranno delle linee in qualche modo, sì. Vedrete".