Sono stati otto episodi ricchi di speranze, delusioni, auto-convincimenti e soprattutto di training autogeno per evitare il più possibile di fare confronti con la prima inarrivabile serie, ma alla fine ce l'abbiamo fatta, abbiamo concluso la nostra visione della nuova stagione di True Detective e siamo pronti a tirare le somme. Lo scorso anno lo show di HBO era una serie oscura ai più, diventata pian piano un fenomeno mediatico grazie sopratutto al passaparola e al sostegno della critica; quest'anno la situazione è stata esattamente opposta, ovvero si è partiti con una grande attenzione da parte di pubblico e stampa ma col passare delle settimane questa serie così attesa è diventata oggetto di critiche, sfottò 2.0 e disinteresse da parte di più.
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Nel complesso è giusto notare che, nonostante non si possa dire che True Detective 2 abbia mantenuto le aspettative, si tratta di una serie dalle indubbie qualità, una serie che comunque alza il livello medio dei prodotti televisivi e anzi crea un'ulteriore spaccatura tra gli spettatori "casual" e quelli cable, più di nicchia e più vicini ed avvezzi a prodotti che non sempre seguono una logica commerciale ma rispecchiano piuttosto una visione autoriale che acquista senso soprattutto al termine dell'opera e non durante la visione.
La verità, però, è che fin dai primissimi episodi questo True Detective 2 ha dimostrato di avere più di qualche difetto; problemi che non potevano in nessun modo essere risolti da un eventuale ottimo episodio finale (come d'altronde poi è stato) perché erano fin troppo radicati in alcune scelte (a nostro giudizio) sbagliate che erano state fatte a monte da Nic Pizzolatto e dal canale. Più volte negli articoli precedenti che abbiamo dedicato ai vari episodi abbiamo parlato di presunzione e poca esperienza, e si tratta di un'impressione che purtroppo non possiamo che confermare anche dopo aver visto l'ultimo episodio. Ma adesso ripensiamo insieme a tutti e 8 gli episodi e cerchiamo di capire cosa ha funzionato e cosa no in questa che era certamente la serie più attesa di questo 2015.
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Cosa ci ha convinto
Musiche e canzoni
Potevano essere tante le preoccupazioni alla vigilia di questa seconda stagione, ma di certo sulla qualità della colonna sonora ce ne erano davvero pochi, visto il ritorno del premio Oscar T-Bone Burnett come compositore e supervisore delle musiche.
Come tutti sanno, anche la sigla quest'anno è cambiata e la canzone scelta è Nevermind di Leonard Cohen; ci sono stati altri contributi importanti come quello di Nick Cave e Warren Ellis (All the Gold in California) sul finale del primo episodio, ma la parte da leone la fa senza alcun dubbio la giovane e misconosciuta cantautrice Lera Lynn che con le sue bellissime canzoni e la sua presenza quasi spettrale (è la cantante del bar in cui si incontrano, e poi rifugiano, Ray e Frank)
contribuisce in modo fondamentale all'atmosfera della serie.
Se c'è una vera vincitrice morale di questa stagione è certamente lei, come dimostra per esempio la splendida Lately della scena finale.
Nuove ambientazioni, nuovi personaggi, nuovo mood
Di un'altra cosa bisogna certamente dare atto a Pizzolatto, ovvero l'essere riuscito a cambiare e distinguere in maniera radicale questa seconda stagione fin dalle primissime immagini. E non si tratta di un aspetto da sottovalutare, perché è vero che stravolgendo grande parte del cast tecnico, tutti gli attori e perfino le ambientazioni dovrebbe venire quasi naturale, ma sappiamo benissimo che nella storia del cinema e della TV ci sono decine di autori, anche ben più prestigiosi e autorevoli, che si riciclano costantemente. E invece questo True Detective 2 è davvero uno show completamente diverso dal precedente, fatta eccezione per lo scheletro drammaturgico e il tema principale.
Se le (atipiche e mai banali) ambientazioni californiane possono essere promosse a pieni voti, qualche dubbio in più si può avere sui personaggi, perché non tutto funziona a dovere. Ma in fondo dopo l'ultimissimo episodio possiamo dirci di essere comunque affezionati a Velcoro, Bezzarides e Semyon, magari un pochino meno Woodrough o a Jordan, ma in ogni caso non sono personaggi che dimenticheremo così facilmente. Sul perché non abbiano funzionato del tutto ci torneremo dopo, perché sono problemi più legati ai dialoghi o all'intreccio, ma di sicuro si nota che Pizzolatto ha provato in tutti i modi a creare dei personaggi che fossero comunque parte integrante del genere noir/poliziesco ma senza per questo renderli stereotipati o bidimensionali.
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Cosa ha funzionato solo in parte
Misoginia canaglia
Non sono state settimane facili per Pizzolatto che ha ricevuto tante critiche, ma d'altronde anche l'anno scorso, nonostante l'entusiasmo quasi unanime per la prima stagione, non gli era andata molto meglio. L'autore infatti era stato accusato di plagio ma soprattutto di misoginia, e con questa seconda stagione ha voluto in tutti i modi dimostrare che si trattava di accuse false e pretenziose. Sul discorso plagio ha messo subito le mani avanti dicendo che nella seconda stagione non ci sarebbero stati riferimenti letterari come in passato (anche se Chandler ed Ellroy potrebbero avere qualcosa da ridire, pazienza...), mentre per quanto riguarda il "problema donne" ha praticamente relegato il ruolo del detective più true del gruppo all'Ani Bezzerides di Rachel McAdams, per di più rendendola l'unica vera sopravvissuta tra i protagonisti della storia insieme ad un'altra donna, Jordan Semyon.
Non si è trattato esattamente di un metodo molto sottile, anzi è piuttosto paraculo a dirla tutta, ma bisogna dire che ha parzialmente funzionato; di certo le spettatrici avranno avuto maggiore possibilità di immedesimazione e avranno apprezzato un personaggio femminile forte e credibile. Peccato che sia caduto nella trappola di alcune scelte un po' stereotipate come l'abuso passato e in parte rimosso, ma d'altronde in questa stagione tutti avevano dei traumi, soprattutto di natura sessuale, quindi più di tanto non ci può lamentare. In più non dimentichiamoci quelle che sono forse le battute più belle dell'intera stagione: Ani che parla dell'importanza della "circonferenza" e Velcoro che confessa "Well, just so you know, I support feminism. Mostly by having body-image issues."
Cambio di regia e attori
Uno dei punti di forza della prima stagione è stata la scelta di affidare la regia di tutti gli episodi al sorprendente Cary Fukunaga: chi non ricorda il fantastico piano sequenza di Who Goes There?? Purtroppo sappiamo che tra il regista e Pizzolatto non corre più buon sangue (l'autore si è anche vendicato a modo suo nel terzo episodio di questa stagione) e quindi proseguire questa collaborazione non è stato possibile, da qui la scelta più tradizionale di avere più registi come succede per quasi tutte le serie TV. Non che non si rimpianga almeno un po' Fukunaga, ma nel complesso il livello è stato comunque molto alto e momenti memorabili non sono mancati: si pensi alla sparatoria di Down Will Come diretta da Jeremy Podeswa o agli ultimi momenti di Ray e Frank nel finale ad opera di John Crowley.
Stesso discorso vale anche per la recitazione; si veniva dalle performance stellari di Matthew McConaughey e Woody Harrelson, due tra le migliori mai viste sul piccolo schermo, ci si è dovuti "accontentare" di quattro new entry comunque di altissimo livello come le star Rachel McAdams e Colin Farrell, oltre che due scommesse come Taylor Kitsch e Vince Vaughn. Il risultato è certamente inferiore nel complesso, ma ciascuno dei quattro attori ci ha lasciato almeno un paio di momenti memorabili: il nostro preferito rimane comunque quello in cui Ray/Farrell si sente dire dall'ex moglie che hanno catturato l'uomo che l'aveva stuprata e lui non ha il coraggio di confessarle di aver ucciso l'uomo sbagliato. Così come ci sono stati degli alti però non sono mancati i bassi: in particolare alcune scene tra Frank e la moglie Jordan risultavano molto poco naturali e fin troppo intense e seriose, soprattutto però (bisogna dirlo) a causa di dialoghi non all'altezza. Non è quindi tutta colpa di Vaughn se il salto di qualità che si prospettava per lui con questo ruolo probabilmente non è avvenuto, ma ciò non toglie che quello che le dice Kelly Reilly (che però dei cinque è certamente la peggiore) nell'ultimo episodio non può che far ridere ed è impensabile che Pizzolatto non se ne sia reso conto! Nic, ti dovevi vendicare pure di Vaughn adesso?
Il passato dei personaggi
Fin dal primo episodio è evidente che Pizzolatto non aveva semplicemente intenzione di raccontare un caso o una storia, ma dei personaggi. È assolutamente ovvia e giustificata, quindi, la grande attenzione dedicata ai background dei protagonisti, a quei traumi del passato che emergono un po' alla volta, episodio dopo episodio. Il problema è che non tutti (vedi Woodrough) vengono gestiti con la stessa attenzione e, verrebbe da dire, interesse. E soprattutto non sempre sono perfettamente integrati nel resto della trama: prendiamo il caso di Bezzerides che si ritrova ad un certo punto ad indagare addirittura sul padre - presente in una vecchissima fotografia accanto a due loschi figuri che invece saranno in qualche modo centrali nelle indagini - ma tutto questo ad un certo punto svanisce e la vediamo semplicemente salutare padre e sorella e metterli al sicuro.
Per non parlare poi di Frank e del suo rapporto con il "mitico" Stan (vera star di fantastici tormentoni sul web), un personaggio che praticamente non vediamo mai ma la cui morte pesa come un macigno sulla coscienza di Frank tanto da andare a visitare e consolare moglie e figlio.
In un "giallo" tradizionale ogni scelta dell'autore, anche la più insignificante, avviene per un motivo ben preciso; questo in Pizzolatto non è vero ed era così anche nella prima stagione, e sebbene ciò possa essere visto come un punto di forza della sua scrittura purtroppo ha il suo peso nel momento in cui lo show ha già altri problemi.
Da dimenticare
Noir, thriller o character study?
Uno dei difetti principali imputabili a questa seconda stagione è l'intreccio inutilmente complicato, per di più sbrogliato dai detective e Pizzolato nel finale con fin troppa facilità e superficialità. Ma in realtà volendo considerare questo secondo ciclo di episodi come un noir sullo stile, per citarne uno tra i più famosi, de Il grande sonno, è certamente vero che la trama estremamente complessa e ricca di personaggi, intrighi e corruzione è una caratteristica tipica del genere. Il problema semmai è che è il genere stesso a non essere tipico di prodotti seriali e si potrebbe discutere all'infinito sul fatto che mantenere l'attenzione degli spettatori per 8 ore e mezzo, per di più su un intervallo di quasi due mesi, non è esattamente la stessa cosa che leggere un libro o vedere un film.
Ma il problema reale è che True Detective 2 non è nemmeno un noir puro, ma vuole mantenere anche le caratteristiche da thriller che avevano comunque fatto la fortuna della prima stagione e aggiungere anche un po' di quel poliziesco poco sensazionalista ed iper-realistico in stile The Wire: quindi molte chiacchiere, un'infinità di documenti da leggere e studiare, piste da seguire sul computer e negli archivi piuttosto che per le strade. Aggiungiamo quanto detto sopra sui personaggi, e quello che ne viene fuori è un ibrido squilibrato che chiede molto ai suoi spettatori: spettatori che, per quanto cable e di alto livello, hanno fatto una grande fatica a seguire Pizzolatto in questo suo nuovo esperimento e che, addirittura, sono diminuiti, negli USA almeno, rispetto alla stagione precedente. La HBO non si preoccupa e si dice ottimista per una terza stagione, ma il segnale da parte del pubblico è piuttosto chiaro.
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I dialoghi
Altro tallone d'Achille di questa stagione sono stati i dialoghi, in particolare alcune "frasi ad effetto" proferite da Frank Semyon che probabilmente nella volontà di Pizzolatto avrebbero dovuto renderlo un personaggio tosto o carismatico ma hanno spesso ottenuto l'effetto contrario. Ci riferiamo per esempio a battute assolutamente ridicole come "It's like blue balls... in your heart.", "Pain is inexhaustible. It's the people that get exhausted." o "In the midst of being gangbanged by forces unseen, I figured I'd drill a new orifice, go on and fuck myself for a change." Ma tra le tante che hanno scatenato l'ironia del web c'è anche la sconvolgente scoperta poliziesca di Woodrough ("These contracts ... signatures all over them.") o quella filosofica di Vera ("Everything is fucking.").
Se prima dicevamo di essere dubbiosi nel giudicare alcune performance non perfette da parte degli attori è proprio perché frasi del genere difficilmente potrebbero funzionare in bocca a chicchessia; c'è però anche un'altra considerazione da fare, ovvero che andando a riguardare e a rileggere le battute della prima stagione non si può dire che tutte brillassero, tutt'altro. La differenza lì la faceva proprio l'interpretazione geniale di McConaughey, che riusciva a rendere gli strambi e spesso insensati monologhi di Rust Cohle una caratteristica intrinseca del suo personaggio e non qualcosa di alieno e forzato. La colpa è quindi dei dialoghi di Pizzolatto o dell'interpretazione degli attori? Probabilmente non è troppo diverso tra il chiedersi se è nato prima l'uovo o la gallina, e quindi noi ci rinunciamo e semplicemente preferiamo aspettare al varco l'eventuale True Detective 3. Nel frattempo, chissà, potrebbero anche venirci le blue balls nel cuore. Ma non garantiamo.