Al Torino Film Festival il cinema horror ha da diversi anni uno spazio privilegiato, grazie all'apposita sezione After Hours che propone il meglio della produzione da brivido dell'anno in corso. Per Torino 2019 la prospettiva si è allargata tramite la retrospettiva Si può fare!, una panoramica di pietre miliari del genere - 36 titoli in tutto - dal 1920 al 1971. Si tratta soprattutto di lungometraggi anglosassoni, firmati da registi come Tod Browning, James Whale e Terence Fisher, ma è presente anche l'Italia, grazie a nomi come Mario Bava e Riccardo Freda, mentre il Giappone è rappresentato dal classico Onibaba, datato 1964. Alla retrospettiva è legata anche la presenza di Barbara Steele, omaggiata quest'anno con il Gran Premio Torino e l'uso della sua immagine come poster ufficiale dell'intera kermesse sabauda. Per l'occasione abbiamo deciso di ripercorrere, per categorie, l'offerta classica che sta spaventando gli avventori del festival.
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L'espressionismo tedesco
Parafrasando il titolo di un celebre libro sul cinema teutonico, divenuto anche un recente documentario, la retrospettiva si sarebbe potuta chiamare Da Caligari a Roy Ward Baker (quest'ultimo regista del film che chiude cronologicamente la rassegna, Barbara il mostro di Londra). Ad aprire le danze è stato infatti Il gabinetto del Dottor Caligari, una delle vette del cinema espressionista tedesco e della produzione risalente alla Repubblica di Weimar. L'altro titolo imprescindibile degli stessi anni è Nosferatu il vampiro di F.W. Murnau, rilettura non autorizzata del Dracula di Bram Stoker (i nomi dei personaggi furono cambiati per motivi legali). Un classico che ha influenzato l'iconografia vampiresca in tutte le salse, dal remake a cura di Werner Herzog alla recente commedia What We Do in the Shadows (presentata proprio a Torino, in concorso, nel 2014). È anche una scelta logica per un altro motivo: la celeberrima immagine del conte Orlok polverizzato dalla luce del sole è da alcuni anni parte integrante della sigla del festival.
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I classici della Universal
Il corpus della Universal copre l'arco cronologico più ampio della retrospettiva, dal 1925 (Il fantasma dell'opera) al 1954 (Il mostro della laguna nera), con due titoli particolarmente irrinunciabili: il dittico di Frankenstein diretto da James Whale, con la mitica Creatura interpretata da Boris Karloff, presente anche nella versione classica de La mummia, impreziosita, come i due lavori di Whale, dal lavoro del grande truccatore Jack Pierce. Non c'è il Dracula con Bela Lugosi, ma l'attore ungherese appare al fianco di Karloff in The Black Cat, sempre della Universal, mentre il regista Tod Browning è presente con Freaks e The Devil Doll, entrambi della MGM. Quest'ultima è rappresentata anche da Il Dottor Jekyll e Mr. Hyde del 1941, oggetto di una delle proiezioni più curiose di Torino 2019: la copia era in pellicola, e c'è stata un'interruzione di mezz'ora quando è emerso che due bobine erano state invertite.
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I classici della Hammer
Ancora mostri ben noti, ma questa volta nella rilettura britannica a cura della Hammer Films, con volti del calibro di Peter Cushing (Victor Frankenstein e Abraham Van Helsing) e Christopher Lee (la Creatura e, ovviamente, Dracula), diretti dal grande Terence Fisher (il cui contributo è omaggiato anche tramite la figura del licantropo, con le fattezze di Oliver Reed). C'è anche il già citato film di Roy War Baker, la cui particolarità è la prospettiva gender: Dr. Jekyll si trasforma in una versione femminile di Hyde, bellissima e letale. Cushing e Lee fanno capolino anche ne Le cinque chiavi del terrore, celebre film a episodi della Amicus, altra casa di produzione attiva nel genere horror in quel periodo. Scollegato da entrambi i filoni c'è Il killer di Satana, del 1967, dove ritroviamo un Boris Karloff sul viale del tramonto (morì due anni dopo l'uscita).
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Grandi autori
Esulando un po' dai gruppi tematici, la retrospettiva ospita titoli di registi imprescindibili come Robert Wise, William Castle, Federico Fellini e Roman Polanski. Senza dimenticare due maestri di genere come Mario Bava e Roger Corman, presenti con due lungometraggi a testa (La maschera del demonio e Operazione paura per il primo, Il pozzo e il pendolo e La maschera della morte rossa per il secondo).
Particolarmente degna di nota la produzione cormaniana, poiché i suoi film basati sui racconti di Edgar Allan Poe furono girati con budget ridotti al minimo e tempi di lavorazione strettissimi (non più di due settimane di riprese, in media), eppure non hanno nulla da invidiare ai capisaldi delle major. I due registi sono anche legati alla figura di Barbara Steele, attrice inglese attiva anche in Italia, che accompagna i due titoli della retrospettiva in cui lei recita e ritira il Gran Premio Torino, massimo riconoscimento alla carriera nel contesto del festival. Un'ospite da brivido, senz'altro.