La stagione 6 di The Walking Dead non è stata quella dei record come la precedente, nonostante i 14 e rotti milioni di spettatori in apertura e chiusura, ma è stata senza alcun dubbio la più chiacchierata e discussa della (giovane) storia delle serie AMC. Il che non è certo un risultato da poco se consideriamo che la serie tratta dal fumetto di Robert Kirkman è da anni una delle più popolari in tutto il mondo.
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Mai come quest'anno The Walking Dead era stata sotto la luce dei riflettori, forse a causa delle roboanti dichiarazioni del cast o per l'arrivo di alcuni dei momenti più attesi dai fan, ma questi morti che camminano non ci sono mai sembrati così vivi! Il che non vuol dire che sia stata la migliore stagione di sempre, anche se c'è andata quanto meno molto vicina, e nemmeno vuol dire che siano mancati i difetti, anzi, ma semplicemente che per essere una serie arrivata alla sesta stagione di certo non da l'impressione di volersi adagiare sugli allori o schermirsi dalle critiche, ma piuttosto di continuare ad affrontare con coraggio e sfrontatezza ogni nuovo ciclo di episodi come una nuova sfida.
Dovessimo paragonare la stagione 6 ad un personaggio della serie sceglieremmo certamente l'Abraham di Michael Cudlitz: fiero, massiccio, orgoglioso, col petto in fuori anche quando in difficoltà, ma anche con qualche evidente problema con il relazionarsi con gli altri e il farsi capire dagli altri. Insomma è appariscente, è cool, anche simpatico, ma ogni tanto mica si capisce che cacchio vuole dire.
In attesa di sapere se il caro Abraham sarà riuscito a sopravvivere a Lucille e, di conseguenza, se anche la serie (o quantomeno i suoi rating) sia riuscita a sopravvivere al terribile cliffhanger che ha fatto infuriare mezzo mondo, abbiamo deciso di analizzare questa stagione 6 e sottolineare gli aspetti che più abbiamo apprezzato e quelli di cui invece avremmo proprio fatto a meno.
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Cosa ci ha convinto
Negan e i Salvatori
Partiamo ovviamente dal personaggio più atteso e chiacchierato di questa stagione, il Negan brillantemente interpretato da Jeffrey Dean Morgan, l'attore più importante e di rilievo mai arrivato sul set di The Walking Dead. Un personaggio che in realtà abbiamo potuto goderci non più di 10 minuti ma che tuttavia è stato uno degli elementi caratterizzanti di tutta la seconda metà di questa stagione. Il perché Negan sia così importante e così amato è evidente a chiunque abbia letto il fumetto dall'albo numero 100 in poi, ma ormai non dovrebbe essere difficile da intuire nemmeno per i "semplici" spettatori televisivi; d'altronde con quel lungo, ipnotico e agghiacciante monologo, con quel suo piano perfettamente delineato ed eseguito dai suoi uomini e soprattutto con quelle terrificanti mazzate finali ha messo in ginocchio ed "ucciso" non solo Rick e il resto del gruppo, ma soprattutto noi spettatori.
Non è solo Negan a funzionare, ma anche i suoi uomini e il modo in cui piano piano ci vengono mostrati: perchè l'idea di presentarci i Salvatori all'inizio come una minaccia in fondo non troppo differente dai Lupi (che già all'inizio della stagione avevamo capito essere solo un depistaggio), poi come un gruppo ben organizzato ma comunque largamente alla portata di Rick e gli altri, e infine, come una minaccia ben oltre qualsiasi aspettativa funziona e accresce le aspettative per quello che saranno gli episodi di ottobre. Perché anche se il volto di Negan è ormai finalmente svelato, sono ancora tanti gli assi nella manica degli sceneggiatori: c'è tanto da raccontare e da mostrare sulla sua comunità, sulla sua dittatura e su quello che è in grado di fare.
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La regia più cinematografica
La trappola finale ai danni di Rick è stata perfetta anche grazie alla regia di Gregory Nicotero che mai come quest'anno si è dimostrato di vitale importanza per lo show non solo per la sua maestria negli effetti speciali ma per il suo talento da regista sbocciato proprio in questi anni sul set di The Walking Dead ma sublimato proprio in questa stagione. I quattro episodi da lui diretti (la premiere Come la prima volta, Nessuna via d'uscita, Non è ancora domani e il finale L'ultimo giorno sulla Terra) rappresentano dal punto di vista tecnico e registico il punto più alto non solo della stagione sei, ma di tutta la serie, con alcune trovate riuscitissime e coraggiose (l'enorme gregge di zombie, il bianco e nero o la non linearità del primo episodio, il montaggio di tutta la gente di Alexandria che combatte, il silenzioso e tesissimo attacco all'avamposto) che elevano lo show da semplice "blockbuster" quale spesso è considerato (anche per il vastissimo numero di spettatori a cui si rivolge) ad un prodotto di autore e di qualità alla pari di tante altre serie ben più blasonate.
Una nota di merito poi va anche a Jennifer Chambers Lynch per l'inquietante e riuscitissimo L'attacco dei lupi.
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La crescita di molti personaggi secondari
Da sempre The Walking Dead prova ad essere meno Rick-dipendente e più corale, purtroppo non sempre ci riesce. Se è vero che gli altri personaggi storici (Glenn, Daryl, Carol, Michonne, etc etc...) raramente deludono, è molto più difficile che i personaggi introdotti nelle ultime due stagioni (da dopo la prigione) riescano a brillare. Anche in questa stagione non tutto fila liscio, ma bisogna ammettere che personaggi come Eugene, Sasha, Abraham hanno finalmente acquistato più spessore, per non parlare poi di Padre Gabriel che con pochi minuti è riuscito a ribaltare la sua situazione da personaggio più odiato e inutile dello show, a nuovo idolo dei social. Certo, su Enid (se mai riuscirà a liberarsi dal ripostiglio), Aaron (se sopravviverà), Heath e Tara (se mai torneranno dalla loro perlustrazione) e tanti altri ci sarà ancora da lavorare, ma almeno è un inizio.
Discorso a parte meritano poi Jesus e Denise, due new entry di questa stagione: il primo è stato visto pochissimo ma (un po' come Negan) il personaggio ha potuto godere di un buzz mediatico che raramente era stato destinato ad altri personaggi della serie e l'entusiasmo è sicuramente superiore a quanto visto finora, ma si rifarà; per il personaggio interpretato dalla brava Merritt Wever invece non ci sarà altro spazio, perché la sua improvvisa e inaspettata morte, come già successo per Beth lo scorso anno, è arrivata parallelamente all'attenzione e l'affezione del pubblico. E questo, a pensarci bene, è un gioco piuttosto pericoloso visto che si rischia di forzare la mano su morti, sulle carte shockanti, che al pubblico potrebbero non fare né caldo né freddo, ma bisogna ammettere che finora le scelte degli autori sono state vincenti.
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La parabola di Rick
Per quanto però si possa tentare di farne a meno, personaggi come Rick Grimes sono una rarità e bisogna tenerseli stretti. Per quanto The Walking Dead possa essere considerata universale nel messaggio e nei temi, la serie è comunque la storia di questo ex sceriffo, marito e padre devoto che si trova costretto suo malgrado ad adattarsi ad un mondo orribile e senza regole. E Rick sa farlo meglio di tutti, sa mettere da parte i suoi dubbi e i suoi scrupoli, perché prima e meglio di tutti, sicuramente prima di Morgan e Carol, capisce che se ci si vuole proteggere, se si vuole mantenere quanto di buono è rimasto a questo mondo, devi fare in modo che nessuno possa portartelo via.
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Ed è ancora più significativo notare che Rick inizia questa stagione nuovamente da leader indiscusso dopo che nel finale della quinta aveva mostrato degli evidenti squilibri, eppure nessuno, nemmeno il neoarrivato Morgan che proviene da esperienze completamente diverse, ha il coraggio di opporsi alle due idee, ma non per paura, ma solo per mancanza di reali alternative. Anche quando Rick si fa avanti con la comunità di Hilltop e si dice pronto ad eliminare i loro nemici, si dice pronto a combattere una guerra non (ancora?) sua e addirittura - punto più basso di sempre del suo personaggio, tanto da non essere nemmeno teorizzato nel fumetto - quando decide di uccidere nel sonno i Salvatori per prevenire un loro eventuale attacco, nessuno realmente prova a fermarlo, o anche solo a farlo ragionare. Perché nessuno è come Rick. O almeno nessuno, fino ad ora, era stato alla sua altezza.
Ma quando arriva Negan, il Rick che abbiamo conosciuto è a pezzi, svuotato, annullato (e Andrew Lincoln più bravo che mai). E noi, e lo show, con lui perché la sua storia, la sua parabola partita in quel letto di ospedale abbandonato sembra essersi conclusa. Non morirà Rick, non sarà la vittima di Negan, ma sarebbe quasi giusto che lo fosse, così da rendere completa, ancora più drammatica e in fondo anche più realistica la sua storia. Ma in uno show che viene costantemente definito senza speranza, il permettere a Rick di rialzarsi e ritrovarsi è quanto di più vicino ad finale positivo possa esserci, ed è proprio per questo che il season finale si chiude ben prima che questo possa succedere, con un cliffhanger che è sì un colpo basso per gli spettatori, ma lo è ancor di più per Rick.
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Cosa ha funzionato solo in parte
La querelle tra Carol e Morgan
Ne abbiamo già parlato nelle diverse recensioni che abbiamo dedicato ai singoli episodi: l'idea di sfruttare il dualismo tra questi personaggi è di per sé affascinante - e i due episodi quasi monografici su entrambi sono tra i migliori della stagione - non ci ha convinto però il modo in cui il tutto è stato gestito e soprattutto i tempi con cui è stato fatto, soprattutto perché gli scontri tra Carol e Morgan si sono sempre sovrapposti a situazioni dello show già molto tese e di per sé avvincenti. Non sarebbe stato meglio, per esempio, approfondire il discorso del Lupo catturato dopo l'arrivo ad Alexandria dell'orda di zombie? O affrontare nuovamente l'argomento molto prima che il resto del gruppo fosse alle prese con Negan? Ma soprattutto, non avrebbe avuto più senso coinvolgere gli altri personaggi su questo interessante quesito morale invece che abbandonare completamente questi due e allontanarli, inspiegabilmente e ingiustificatamente, dalla storyline principale?
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L'introduzione di Jesus e le nuove comunità
Di Jesus abbiamo già parlato velocemente, della "sua" Hilltop ancora no: è bello vedere un cambiamento di scenario ed è bello sapere che nel futuro ci sarà spazio per altre dinamiche che non siano limitate solo al gruppo che già conosciamo, quello che non capiamo è come mai si sia scelto di inserire questa novità così importante a diversi episodi dalla fine della stagione senza poi approfondirla mai Jesus sparisce completamente, Hilltop viene citata solo per la presenza del medico che servirà a Maggie e quindi come escamotage per passare attraverso Negan, un'eventuale altra comunità ci viene in qualche modo anticipata soltanto attraverso i due uomini (di cui uno a cavallo) che incontrano Carol e Morgan nel finale di stagione. Tutto questo, è chiaro, sarà importante soprattutto a partire da ottobre, ma lascia comunque un po' di amaro in bocca non averne approfittato subito per dare una boccata d'ossigeno quando la serie più ne aveva bisogno, ovvero negli episodi "filler" di cui diremo meglio sotto.
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L'abuso dei cliffhanger
E veniamo all'argomento caldo, anzi incandescente, del momento: l'ultimo cliffhanger, - quello che, sbollita la rabbia, verrà probabilmente ricordato molto a lungo alla pari di quelli di Dallas, Lost, I segreti di Twin Peaks, Alias, 24 e altre serie che su questa tecnica ci hanno costruito gran parte della loro fortuna - è ovviamente quello che ha fatto più discutere per il suo essere "disonesto" ma, come già detto più sopra, per noi non rappresenta un grande problema, ma anzi ha una sua spiegazione con cui, ovviamente, si può essere d'accordo oppure no. E d'altronde sono tante, appunto, le serie che vanno avanti cliffhanger dopo cliffhanger. Perché allora The Walking Dead ne abusa? Perché quando lo usa per rendere "memorabile" un episodio che invece di speciale non ha proprio nulla, il trucco si vede e tutti non posso che notare che il re è in effetti nudo. L'esempio più clamoroso è quello del penultimo episodio ai danni di Daryl, catturato e colpito da Dwight: non solo il cliffhanger rimane irrisolto - e il fatto che non gliene freghi a nessuno è particolarmente significativo - ma è anche evidentemente l'elemento su cui è stato costruito quello stesso episodio, non a caso poco riuscito.
Se quindi il cliffhanger è giustificato e semplicemente (non) chiude un episodio che funziona va benissimo, c'è comunque da soffrire nell'attesa ma la narrazione seriale è così, prendere o lasciare. Se il cliffhanger finale diventa l'unico motivo di interesse, è tutto lo show, prima o poi, a risentirne, ed infatti a detta di molti già è successo. A nostro parere il limite non è stato ancora raggiunto, lo squalo non è stato ancora saltato, ma ogni nuovo (ab)uso di questo espediente è un rischio che forse non vale la pena di affrontare.
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Da dimenticare
Il Glenngate
D'ora in poi quando di parlerà di un personaggio di serie TV che viene dato per morto ma di fatto non lo è, si dirà che ha ricevuto il trattamento Glenn. E di serie TV che fanno questi "giochetti" ce ne sono a decine, eppure nessuna si è mai spinta così tanto da diventare ridicola come è successo con questa sesta stagione di The Walking Dead. Il cassonetto miracoloso e il nome dell'attore Steven Yeun tolto dai titoli di testa sono i due esempi più eclatanti di un "trattamento" che va avanti da anni (non dimentichiamo che anche nel finale della stagione 5 Glenn per un attimo ci era stato dato per spacciato) e che ormai non sortisce più alcun effetto sugli spettatori, tanto che perfino adesso che sarebbe comunque in pole position come vittima di Negan, sono in tanti a faticare a crederci. E questo per uno show che non vuole far sentire nessun personaggio al sicuro è un difetto grave, un difetto che è figlio di una cattiva gestione da parte degli autori che di fatto non ha portato alcun vantaggio.
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L'utilizzo di Daryl come tappabuchi
Tolto Glenn, l'altro personaggio che da tempo va avanti con un grosso bersaglio dietro la schiena è proprio quel Daryl Dixon tanto amato dai fan ("If Daryl dies we riot") ma che ormai fatica a trovare un suo spazio all'interno dello show. Da quando siamo arrivati ad Alexandria, Daryl è stato utilizzato poco e male (con la divertente ecceozione di tutte le "scenette" in coppia con Rick all'arrivo di Jesus) e soprattutto negli episodi filler che ci citavamo sopra, ovvero quelli in cui la trama quasi non avanza. Sono stati gli episodi prima del midseason finale e prima del finale di stagione, e sono stati gli episodi che hanno impedito il salto di qualità a questo show che per due volte sembrava davvero intrapreso la strada giusta. Non è certo colpa del personaggio né tantomeno del suo interprete Norman Reedus, ma forse il fatto che Daryl non sia in alcun modo presente nei fumetti dopo sei stagioni incomincia a pesare troppo. Forse - e sia chiaro, abbiamo detto forse, state buoni! - se fosse lui a morire per mano di Negan non sarebbe poi così male, potrebbe semplicemente mettere fine a questa lenta agonia.
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Il sangue (finto) sullo schermo
Chiudiamo con un dettaglio, un elemento certamente poco significativo, ma che comunque è un perfetto esempio della volontà, o forse necessità, di esagerare a tutti i costi; frutto, forse, del timore forse di non essere all'altezza della crudeltà del fumetto e delle aspettative, ormai sempre più alte, di un pubblico che "gode" nell'essere sconvolto e shockato. Il problema però è che non è che abusando di effettacci in post-produzione che si ottiene tutto questo, anzi molte volte è proprio un brusco taglio di montaggio ad essere molto più efficace. Con gli ultimi due cliffhganer della stagione invece - quello dello sparo a Daryl e dell'uccisione di non-si-sa-chi ad opera di Negan - la serie quasi cancella tutti i passi in avanti fatti in termini di regia e scrittura e dimostra invece di essere ancora lontano, soprattutto come mentalità, dalla qualità di altre produzioni del canale (Mad Men, Breaking Bad, Halt and Catch Fire, Better Call Saul etc) a cui comunque legittimamente potrebbe e dovrebbe aspirare.
Ma la strada verso la fine della serie (ci sarà mai?) è ancora lunga e le possibilità ancora infinite: Rick con tutta probabilità nella stagione 7 imparerà dai suoi errori, lo stesso dovrebbero fare anche gli autori.
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