A quale futuro è destinato il nostro pianeta? Identificheremo forme di energia pulita e inesauribile in breve tempo o continueremo a inquinare prosciugando le attuali risorse? Nella discussione, più attuale che mai, interviene la nuova fatica di Enrico Masi, Terra Incognita, presentata in anteprima mondiale al Festival dei Popoli fiorentino lo scorso novembre e da giovedì 30 gennaio nelle sale italiane. Nel documentario scritto con Stefano Migliore, Masi non si limita ad affrontare un tema ormai caro a tutti come quello della sostenibilità energetica, ma abbraccia un orizzonte più ampio, affrontando la questione dal punto di vista filosofico e, passateci il termine, perfino "poetico".
Il nuovo lavoro del regista emiliano è un'opera concettualmente densa che ha richiesto sei anni di ricerche. Anche se è riduttivo limitarlo a questo, la struttura dicotomica del film mette a confronto due esperienze antitetiche: il tentativo di una famiglia tedesca di vivere senza elettricità e senza contatti con la società sulle Alpi italiane e il monumentale esperimento ITER, nel Sud della Francia, dove è in corso la costruzione di un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale. "Nel 2018 io e Stefano Migliore sentivamo il bisogno di cimentarci con un grande tema ambientale, con strumenti migliori e un budget più elevato" spiega Masi illustrando l'origine del progetto. "Abbiamo scoperto l'esistenza di questo progetto utopistico e di questo enorme cantiere in Francia, poi abbiamo avuto l'idea di contrapporvi un'esperienza estrema come quella della famiglia tedesca. Ma non ci bastava, così abbiamo innestato nel nostro lavoro il pensiero di Alexander von Humboldt, pioniere della tecnologia e dell'ecologia".
L'elemento umano al centro della riflessione
Terra Incognita intreccia le esperienza di un nucleo familiare che ha scelto di vivere a contatto con la natura, isolato dalla società - come chiarisce la madre mentre racconta il progetto utopistico di trasferirsi in Canada - e i progressi scientifici in atto nella ricerca sul nucleare. A un tema scottante come quello sull'uso del nucleare, a cui un autore come Oliver Stone di recente ha dato una risposta netta col suo Nuclear Now, Enrico Masi contrappone una posizione più ambigua e sfumata. "L'ambiguità è un sentimento naturale, intrinseco dell'arte" ribatte lui. "L'Italia è stato il primo paese a dire no al nucleare e oggi un evento come la guerra in Ucraina ci mostra il livello di pericolosità dei siti nucleari per i civili in quanto bersagli. D'altronde la prima bomba atomica esplosa a Hiroshima e Nagasaki ha dato il via all'attuale era geologica, cambiando per sempre il sistema del pianeta".
Ai dati e alle statistiche sul tema, Terra Incognita antepone la centralità dell'elemento umano anche nelle parti dedicate al nucleare, dove emerge la figura di Laban Coblentz, capo della comunicazione di ITER dalla storia familiare complessa visto che è cresciuto in una comunità mennonita nell'Ohio per poi "tradire" i valori familiari arruolandosi in Marina. "In realtà questo è un film topic driven, lo abbiamo scritto prima di incontrare i personaggi" specifica Masi. "La famiglia tedesca l'abbiamo seguita per due anni e mezzo nei loro riti, nel lavoro nei campi, nell'homeschooling e in questo curioso pantheon ideologico che li guida, dove il rigore religioso convive con la fascinazione per gli indiani d'America, Beethoven e Jimi Hendrix".
Una nuova via alla visione
Il sapore misterioso dietro il titolo scelto da Enrico Masi nasconde in realtà un concetto scientifico preciso. "Terra Incognita è l'espressione latina che indica un'area sconosciuta non ancora esplorata, è un concetto formulato dal geografo Franco Farinelli, mio professore all'università" spiega il regista. "Mi piaceva l'idea di ribaltare la teoria della conoscenza del pianeta attraverso i satelliti mettendo in evidenza quanto ancora non sappiamo".
Vista la propensione per la riflessione filosofica su temi esistenziali e la tensione verso una dimensione naturale incompiuta e sterminata, è inevitabile cercare connessioni tra la poetica di Enrico Masi e l'afflato universale dell'opera di Terrence Malick. "Me lo hanno chiesto in molti" ammette il regista. "Malick è un poeta vivente del nostro tempo. Tra l'altro sono uno di quelli che a Bologna ha visto The Tree of Life coi rulli invertiti. Durante le riprese non ho mai pensato di citarlo consapevolmente come ho fatto con Herzog e Tarkovskij, miei maestri insieme ad Angelopulos, ma sicuramente è un punto di riferimento per atmosfere e rarefazione del dialogo. A livello estetico, stiamo cercando una nostra via italiana alla visione per costruire un'estetica della nostra generazione".
Musica e religione, collante con la società
Tanti sono gli ingredienti che emergono da una pellicola stratificata e complessa come Terra Incognita, che offre molteplici punti di riflessione senza influenzare lo spettatore verso l'una o l'altra direzione, ma offrendo la libertà di formarsi una propria opinione su ci che viene mostrato. Ma ci sono elementi che tornano costantemente nel corso del film, quasi a rappresentare un trait d'union. La musica, in primis, presenza costante che rappresenta anche l'unico legame con la società della famiglia tedesca. "Sia io che Stefano Migliore siamo musicisti" chiarisce Enrico Masi. "La musica, per noi, è la prima scrittura. Le musiche del film, composte da Fabrizio Puglisi, hanno avuto una lunga gestazione a cui ha partecipato anche la cantautrice Margareth Kammerer".
Ma a mettere in luce il legame tra il nucleo tedesco neorurale e il capo della comunicazione di ITER è anche la profonda fede religiosa che viene mostrata a più riprese (nel caso dei tedeschi) o enunciata nel momento in cui Laban Coblentz parla delle sue origini. "Alexander von Humboldt era laico, ma io no" ci confessa il regista. "Sono profondamente credente e ho condiviso questo aspetto con i personaggi del film. Anche la scienza è un Credo, è vicina alla religione perché utilizza strumenti simili e nel film si intrecciano costantemente".