A Casa Rusca, a Locarno, dal 15 luglio al 4 settembre 2005 si svolge una mostra di Storaro intitolata Scrivere con la luce - Doppie impressioni tra Fotografia e Cinematografia. Nell'esposizione vengono accostate immagini dei film ai quali ha collaborato come direttore della fotografia e riproduzioni su tela di famosi quadri ai quali si è ispirato. Vittorio Storaro divide la sua produzione in tre periodi (cosa che, in teoria, dovrebbero fare i posteri, sempre se sono interessati a farlo): la luce, i colori, la materia. Tenendo a precisare in continuazione che nelle pause tra un "ciclo" (ma si parla di Picasso, o di Storaro?) e il successivo ha studiato storia dell'arte e architettura. Ho visitato la mostra assieme a un gruppo di studenti di cinema ai quali Storaro ha illustrato le opere esposte sui quattro piani - pardon! - sui quattro "livelli di coscienza". La prima riproduzione esposta è un Caravaggio, accostato al suo primo film, Giovinezza giovinezza (1968) di Franco Rossi, in bianco e nero. Seguono La memoria di Magritte associato a Il conformista (1970) di Bertolucci, con il colore azzurro che diventa simbolo dell'intelletto, della libertà e del pensiero, Addio fratello crudele (1971), di Giuseppe Patroni Griffi, ispirato a Botticelli, Dick Tracy (1990) di Warren Beatty a Otto Dix e via dicendo.
L'idea portante della mostra in sé sarebbe ottima - far derivare l'immagine nel cinema da una tradizione storica e culturale di tipo prevalentemente pittorico -, se non venisse ridotta a una semplice catalogazione delle citazioni, senza alcuna spiegazione di metodo e di forma, se non divagazioni pseudo-filosofiche sugli elementi (aria, acqua, terra, fuoco) e definizioni psicanalitiche abusate e poco calzanti (opposizione tra il conscio e l'inconscio), con tutto che va a parare verso un semplicismo pseudo-trascendentale di cui lo Storaro-pensiero è purtroppo strapieno (Yin e Yang, reincarnazione, etc.). L'analisi comparativa, che sarebbe l'unico approccio pertinente!, è tuttavia lasciata completamente alla fantasia del visitatore, con conseguenze che si possono ben immaginare.
Non è certo la modestia a caratterizzare il nostro direttore della fotografia - per carità!, cinematographer. Eppure nella sua professione rimane ancora il migliore, perché non continuare a studiare per conto suo la storia dell'arte, dandoci i bei risultati che apprezziamo, e poi lasciarne parlare a chi del mestiere?