La galassia lontana lontana di Star Wars non smette mai di stupirci. Sembra di aver analizzato e sviscerato ogni aspetto dell'epopea fantasy creata da George Lucas e puntualmente l'impressione è di aver trascurato qualcosa o di scoprire altri elementi nascosti che tengono vivo il fuoco dell'appassionato nei confronti della saga. A ben vedere uno degli elementi più interessanti che possiamo trovare all'interno dei nove film è anche uno dei più visibili e spettacolari: i combattimenti con le spade laser. A seconda della trilogia di appartenenza, lo stile di combattimento cambia inserendosi perfettamente nel discorso tematico che quella precisa trilogia sta affrontando e riferendosi alla generazione di spettatori che occupano le sale cinematografiche. Potremmo affermare, come fosse uno di quei quiz che si trovano online, che il modo in cui combatti nel mondo di Star Wars definisce chi sei nel mondo reale.
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Episodi IV-VI: la disciplina raffinata della spada
Lo diciamo subito per evitare qualunque mal interpretazione: lo sviluppo tecnologico fa sicuramente la sua parte. È chiaro che nel 1977 non si potevano mettere in scena combattimenti spettacolari, come poi è stato fatto nei film successivi, per l'assenza di tecnologie adatte. Vogliamo però chiudere un occhio sulla questione delle possibilità tecniche e concentrarci, invece, su come questo limite tecnologico sia mascherato e inserito coerentemente nella narrativa della saga. Prendiamo ad esempio il primo duello con le spade laser a cui assistiamo, quello tra Obi-Wan Kenobi e Darth Vader, un anziano Jedi e un uomo senza arti che respira artificialmente attraverso un macchinario. È un duello lento, con pochi colpi, che richiama i combattimenti dei samurai; d'altronde Obi-Wan l'aveva detto a Luke: "Questa è l'arma dei cavalieri Jedi. Non è goffa o erratica come un fulminatore: è elegante, invece, per tempi più civilizzati". Più che un duello violento, è un confronto dove i colpi sono rari, ragionati, dove vige un equilibrio tra azione e pensiero. Caratteristica, questa, ben presente all'interno della Trilogia Classica: ogni combattimento con la spada laser avviene nel momento topico del film e si inserisce all'interno del percorso di crescita ed evoluzione dei personaggi. Non è, quindi, una tappa puramente adrenalinica, ma un traguardo per i personaggi. La perdita del mentore in Episodio IV dove l'insegnamento che ne ricava Luke è che il potere non sta nella forza fisica ma in quella mentale; la caverna più profonda e la morte apparente per l'eroe in Episodio V (il confronto tra Luke e Darth Vader dove avviene la famosa rivelazione sui legami di sangue), la rinascita dell'eroe (il salvataggio di Leia e Han da Jabba) e la redenzione finale col raggiungimento dell'elisir (il confronto finale con Darth Vader) in Episodio VI.
Episodi I-III: l'adrenalinica fantasia di colori
Quasi specchiando il significato dei combattimenti, la trilogia prequel fa delle spade laser e del ritmo indiavolato il suo punto di forza. Lo spettatore a cavallo dei due millenni è abituato a ben altra spettacolarità rispetto a quella di trent'anni prima, gli anime giapponesi sono ormai un linguaggio ben assimilato e il blockbuster al cinema richiede molta più azione per tenere alta l'attenzione. Inoltre, George Lucas si diverte a sperimentare con il digitale portando alle estreme conseguenze, con risultati alterni, il suo senso del montaggio e del ritmo interno del film (ricordiamo che nel 1977 un film come Guerre Stellari era considerato troppo veloce e rapido nello svolgimento per l'epoca). Ecco allora che i duelli (o trielli) con le spade laser abbandonano l'eleganza analogica dei samurai e si appropriano della schizofrenia digitale in stile wuxia. Si perde il focus narrativo del viaggio dell'eroe per abbracciare un colorato e avanguardistico insieme di colori, suoni e spettacolo. Anche i personaggi più anziani come il Conte Dooku (Christopher Lee) saltano, piroettano a mezz'aria, sembrano essere leggeri. Le spade non vengono più impugnate con due mani in modo da creare colpi precisi ed eleganti, ma con una mano sola aumentando la velocità dei combattimenti e perdendosi in mosse inutili solo per puntare all'effetto visivo (ricordate un momento del duello tra Anakin e Obi-Wan in Episodio III dove fanno roteare le spade senza però colpirsi?). Eppure, in riferimento alla macrotrama della saga, questo diverso stile di combattimento sembra appartenere a un periodo aureo della galassia, più pulito e spensierato, che l'arrivo dell'Impero Galattico portando morte, paura e distruzione riuscirà ad annullare.
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Episodi VII-IX: la rabbia delle nuove generazioni
Se c'è un elemento che non bisogna mai dimenticare quando si parla di Star Wars è che, nella mente del suo creatore, la saga è dedicata ai bambini: per farli meravigliare, per educarli a credere in sé stessi e, in generale, per fare del bene verso gli altri. Non possiamo esimerci, però, nel considerare la trilogia sequel come un riuscito dialogo anche verso le vecchie generazioni di spettatori cresciuti con Star Wars all'epoca dei prequel. La storia di Rey è la storia di una giovane donna alla ricerca della propria identità, quella di Ben Solo una storia di un giovane uomo diviso tra una famiglia biologica di eroi e una putativa di nemici. Entrambi compongono una diade di giovani che cercano il proprio posto nel mondo cercando di essere sé stessi nonostante l'eredità dei genitori. Tema che molte opere dell'audiovisivo sembrano affrontare negli ultimi tempi (pensiamo a Il trono di spade o Succession o ai nuovi classici Disney come Frozen - Il regno di ghiaccio e Oceania, ma anche i film horror come Midsommar - Il villaggio dei dannati o Hereditary - Le radici del male e blockbuster spettacolari come Ready Player One), sintomo che la percezione generale sia quella di uno scontro ideologico profondo e che il tormentone "Ok boomer" nasconda fratture ben più serie.
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Insomma, i giovani del 2020 provano rabbia: il mondo sta cambiando eppure le generazioni precedenti sembrano non voler accettare questi cambiamenti risultando dei padri pesanti che bloccano i loro sogni. Senza un'identità certa, faticando a trovare la propria voce, inseriti in una società liquida, la rabbia di Rey e Ben Solo si risolve in combattimenti dove non c'è né la raffinata eleganza né lo spettacolo. C'è la forza fisica, il desiderio di ferire, la rabbia che si trasforma in fendenti senza nessuna grazia o senso artistico del combattimento. Ci sono solo due persone rabbiose che colpiscono per fare male. Il combattimento nei resti della Morte Nera in L'ascesa di Skywalker, senza musica, è indicativo di quest'aspetto. E con questo punto di vista appare anche naturale la scelta di rendere il redivivo Imperatore Palpatine, simbolo del vecchio mondo, il nemico finale da sconfiggere. Solo nel finale, quando Kylo Ren diventa Ben Solo e dona la propria vita, e Rey prende il cognome della famiglia che l'ha davvero aiutata a capire qual è il suo posto nel mondo, guardando una nuova (doppia) alba, finalmente il conflitto delle nuove generazioni cessa di esistere per dare inizio a un nuovo mondo.