Poche settimane dopo la notizia scioccante della morte all'improvviso di Lance Reddick, dobbiamo tornare su queste pagine per ricordare un altro attore molto amato e morto ancora giovane e all'improvviso: Ray Stevenson, che in ognuno dei nostri cuori può essere legato ad un diverso personaggio che ha interpretato. Tanti sono infatti i ruoli che l'attore ha ricoperto nella sua carriera, indissolubilmente legata al nostro Paese. Non aveva paura di mettersi in gioco, di rischiare anche in ruoli considerati iconici e inattaccabili. Era un omone dal grande cuore, un interprete che sul set a detta dei colleghi aveva sempre la battuta pronta per farci scappare una risata e un sorriso.
Proprio come accaduto con Reddick, il prossimo ruolo in cui dovremmo vederlo sarà a sorpresa anche l'ultimo: Ahsoka, l'attesissima serie spin-off di The Mandalorian in arrivo quest'estate su Disney+ con protagonista Rosario Dawson, dove interpreterà un jedi caduto, un villain dalla spada laser arancione. In realtà, ad essere precisi, in questo caso si trovava a Ischia (la carriera e la vita lo ricongiungono al nostro Paese, quasi poeticamente) per girare un film, Cassino a Ischia di Frank Ciota, che a questo punto non sappiamo che fine farà come progetto e se ci sarà un recasting. L'attore è stato ricoverato dopo un malore in condizioni già gravi e avrebbe compiuto 59 anni il 25 maggio. Proviamo a ricordarlo attraverso i suoi ruoli iconici e soprattutto attraverso il suo legame col Belpaese, fino all'ultimo.
Roma, l'Italia e Ischia
Irlandese classe 1964, Ray Stevenson, secondo di tre figli di un pilota dell'aviazione col sogno di diventare attore, che però abbandona fino all'età di 25 anni, quando decide di provarci in tutto e per tutto. Teatro, film tv, piccole parti, fino alla prima occasione sul grande schermo in King Arthur nel 2004 nei panni di Dagonet. Ma il vero exploit lo ha grazie alla serialità e all'Italia, quando l'anno successivo viene scelto come co-protagonista accanto a Kevin McKidd di Roma (in originale Rome), il maxi-progetto di HBO, RAI e BBC per portare la storia degli anni turbolenti dell'Antica Roma sullo schermo. All'epoca non erano così frequenti co-produzioni di questo calibro come oggi, tanto più che le riprese avvennero a Cinecittà, dove ci sono ancora dei resti di set, maestosi e affascinanti, riutilizzati in vari film e fiction e visitabili.
Nel serial durato due stagioni Stevenson interpretava Tito Pullo, uno dei due soldati attraverso cui veniva raccontata la storia, con un punto di vista inedito, ovvero non quello dei grandi nomi della Storia con la S maiuscola, come Cesare, Marcantonio e così via (che comunque appaiono nello show) ma di due poveracci. Un progetto in cui mise anima e corpo, donando a Pullo quel sapore popolare e quell'animosità tutta nostrana. È sempre incredibile ricordare come gli americani abbiano saputo raccontare la nostra storia meglio di noi in tv (almeno prima di Romulus). Il set fu per lui importante anche a livello personale: conobbe infatti l'antropologa che faceva da consulente e futura moglie Elisabetta Caraccia, da cui ha anche avuto tre figli, Sebastiano Derek (2007), Leonardo George (2011) e Lodovico (2013), dai nomi italo-irlandesi. L'Italia è diventata quindi per lui una seconda casa, fino purtroppo all'improvvisa scomparsa.
Ray Stevenson è morto a 58 anni, l'attore era a Ischia per girare un film
Il Punitore Frank Castle e l'Asgardiano Volstagg
Come dicevamo, Ray Stevenson non ha mai avuto paura di buttarsi anima e corpo nei progetti. È finito così per interpretare tanti ruoli iconici tra cinema e (soprattutto) tv: è stato l'apparentemente sempre pacioso Porthos in un adattamento del celebre romanzo dedicato a I tre moschettieri in 3D, il leggendario pirata Barbanera nella terza stagione di Black Sails, Marcus Eaton nella saga letteraria post apocalittica di Divergent, il vichingo Othere in un arco narrativo di Vikings e il Comandante Jack Swinburne nella terza stagione di Das Boot, donando a tutti quella simpatia contagiosa oltre che un talento per gli stunt grazie al proprio fisico massiccio.
Proprio perché gli piaceva mettersi in discussione, e sempre grazie alla propria fisicità, poteva diventare un assassino spietato mosso dal sentimento della vendetta. Lo è stato nella settima stagione di Dexter nei panni di Isaak Sirko, il capo di un'organizzazione criminale ucraina, la fratellanza Koshka, che trafficava eroina, che si vede ucciso il proprio amante Viktor proprio dal serial killer dei serial killer. La sua morte poetica nello stesso punto dell'uccisione dell'amato da parte di Dex con un lungo dialogo con il killer chiude perfettamente la sua storia.
L'altro ruolo iconico della sua carriera è stato sicuramente Frank Castle dai fumetti Marvel, soprannominato The Punisher o Il Punitore, un soldato che impazzisce dopo che gli sono state uccise moglie e figlia e medita vendetta verso la cospirazione contro di lui. Tra i tre adattamenti e interpreti del personaggio fumettistico - accanto a Dolph Lundgren e Thomas Jane - è forse il più apprezzato e umano, anche perché tratto da una precisa run, ovvero Zona di guerra (War Zone), come il titolo del film diretto da Lexi Alexander. Accanto a Dominic West, Stevenson mostra un dualismo non visto negli altri capitoli e soprattutto riesce a far trasparire un uomo danneggiato ma ancora recuperabile dietro quella frenesia e quel bisogno di sangue e morte... forse.
Chiudiamo con la famiglia, un aspetto molto importante nella vita di Stevenson: l'aveva trovata anche nel Marvel Cinematic Universe, dove ha interpretato non più il Vendicatore per antonomasia ma l'Asgardiano Volstagg, uno dei Tre Guerrieri storici compagni del Thor di Chris Hemsworth, tornando a ciò che gli riusciva meglio: il ruolo del buontempone dal grande cuore e con qualche ferita profonda da far trasparire pian piano. Un personaggio visto sia nel Thor di Kenneth Branagh che in The Dark World e Ragnarok. Del resto, come dicono ad un certo punto in quest'ultimo film "Asgard non è un luogo, ma un popolo" e quindi ci piace pensare che Stevenson abbia trovato il suo posto. Lo ringraziamo per averci regalato e dimostrato la semplicità e la passione nel fare questo mestiere come pochi altri nel tempo non lunghissimo che gli è stato concesso.