Nemmeno il tempo di iniziare, che i David di Donatello numero 70 hanno fatto il giro del mondo. Il motivo? Sul red carpet allestito a Cinecittà hanno sfilato Timothée Chalamet e Kylie Jenner. Insieme dal 2023, è stata la prima passerella ufficiale per una delle coppie più influenti di Hollywood. Piccola nota di colore, ma comunque catalizzatrice della stampa assiepata sul tappeto rosso. Altro primato per questi settant'anni, l'orario di inizio: le 22 spaccate. La fine? Molti, troppi minuti dopo.

Il motivo del ritardo? Spazio a Vespa sulla fumata papale che tarda a lasciare campo ai pacchi di De Martino. Quando l'attesa - e la fame, visto il discutibile catering - sembra ormai insostenibile, la sala stampa viene "svegliata" da Mika - presentatore della serata, insieme ad Elena Sofia Ricci - con la sua We Are Golden, con coreografia targata Luca Tommasini. La serata dei David inizia, e prosegue all'insegna di quell'arte cinematografica come "grande risorsa del nostro paese". Come prosegue: al meglio delle proprie possibilità, al netto di qualche giro a vuoto, di una certa lungaggine, di alcuni pasticci (il bello della diretta!) e di una coppia di presentatori che sembrano suonare due spartiti diversi.
David di Donatello: Francesco Di Leva esulta come allo stadio, Ozpetek si prende il palco
Una risorsa, ovvio, anche se la riforma del tax credit è bloccata con un conseguente stop a molte produzioni. Per questo, il comitato indipendente di Siamo ai titoli di coda (composto da lavoratori e lavoratrici dello spettacolo) ha organizzato un sit in fuori Cinecittà. Come dire, c'è chi festeggia, e chi lotta. A proposito di festa: il primo premio della serata? Francesco Di Leva per Familia, che esulta come se avesse segnato al Maradona. Premio decisamente meritato e interpretazione pazzesca. "Un film che ci insegna a capire come essere padri", dice.
E poi? Poi la festa continua con Ozpetek e il David dello Spettatore (Diamanti), prendendo il palco per un notevole quantitativo di minuti. Ritmo ballerino e il gobbo che corre troppo, dice Elena Sofia Ricci, introducendo la miglior sceneggiatura originale: vince Maura Delpero con Vermiglio, che rimarca quanto sia un film "anti-militarista". Sempre bene rimarcarlo. A seguire, Valeria Bruni Tedeschi porta a casa il premio da attrice non protagonista per la serie Sky L'arte della gioia, battendo le colleghe di set Tecla Insola (ma candidata per Familia) e Jasmine Trinca (che sfoggia un paio di orecchini a forma di anguria, da colori decisamente politici: brava).
Timothée Chalamet romanista
L'altro blocco, dopo "i sessanta secondi e poi torniamo", si apre con Giuseppe Tornatore, premiata da Monica Bellucci (splendida in giacca e cravatta) per il Premio Speciale Cinecittà 70. A proposito di specialità, ecco il momento tanto atteso e più strombattuto dagli spot e dai reel: Timothée Chalamet. "Grazie per avermi ospitato qui, è un premio che conta molto per me: ho preso ispirazione da De Sica e Fellini, ho frequentato l'Italia da sempre: a Bergamo, a Crema con Luca Guadagnino", dice l'attore, tra una confusionaria traduzione simultanea (!) e le solite battute sulla sua romanità acquisita.
Intanto, la premiazione prosegue: Valeria Golino, Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella e Stefano Sardo vincono la miglior sceneggiatura non originale per L'arte della gioia, adattata dal romanzo di Goliarda Sapienza. A proposito: sussulto politico di Stefano Sardo (finalmente) che dice: "Dall'altra parte del mare c'è qualcuno che sta rubando la gioia alle persone".
Un'edizione anti-militarista

Mentre la regia inquadra un incuriosito Sean Baker (relegato dopo l'una di notte: possibile che il regista premio Oscar per Anora debba sottostare alle regole della scaletta?), il palco viene letteralmente preso da Pupi Avati, David alla carriera, che rimpalla diversi aneddoti, centrando però un punto: la politica dovrebbe maggiormente supportare il cinema, al netto degli schieramenti. Si prende un applauso, non troppo convinto, con qualche sorriso stiracchiato nelle prime file. Sempre un momento interessante quello del David Miglior Regista Esordiente: Margherita Vicario vince con Gloria!.
Premio abbastanza telefonato, forse con un po' di coraggio si sarebbe potuto premiare Gianluca Santoni con Io e il Secco, Edgardo Pistone con Ciao Bambino o Loris Lai con I Bambini di Gaza. Da incorniciare però il discorso della Vicario:"Sento serpeggiare un sentimento, una frustrazione rispetto ad una realtà ostile. Il cinema e la musica sono strumenti per reagire alla realtà, siamo testimoni e anche complici di molti orrori. Speriamo che i nostri rappresentati investano di più sull'arte e sulla società, e meno sulle armi".
Il fattore Elio Germano

Procedendo sommessamente, Claudio Santamaria a mezzanotte e cinque chiama sul palco Elio Germano per Berlinguer. Francesco Geghi per Familia, almeno secondo chi scrive, avrebbe meritato di più. Certo, Germano è tra gli attori più militanti del nostro cinema, e le sue parole non sono scontate: dignità, giustizia, uguaglianza. "Un palestinese dovrebbe avere la stessa dignità di un israeliano", dice l'attore. Applauso, e applauso in sala stampa. Prima che Mika ed Elena Sofia Ricci annuncino il break del TG1. Siamo pur sempre sul servizio pubblico. Si torna in scena con un altro primato: dopo settant'anni una donna vince il premio per la regia, ossia Maura Delpero per Vermiglio, che rimarca l'importanza del cinema del reale.
Tra qualche paperata, come le chiama Elena Sofia Ricci, e la consapevolezza che fuori il Teatro 5 ci sia l'orrore, tra un Riccardo Cocciante che molla il palco e poi torna per un problema tecnico (allungando drammaticamente una diretta con timing sanremese) e l'en plain di Margherita Vicario, la cerimonia dei David si srotola fino a notte fonda, quando Vermiglio vince il David come Miglior Film (per un settantesimo anniversario dai buoni titoli, senza sfociare tuttavia nell'indimenticabile). Ma ciò che resta, alla fine, è l'incertezza socio-politico della realtà (e qualche gaffe di troppo). Perché come dice Gifuni ne Il tempo che ci vuole della Comencini (ingiustamente snobbato): "prima la vita, e poi il cinema".