Come si recensisce un album musicale? Noi recensiamo film, serie tv. Al massimo, ogni tanto, recensiamo qualche videogioco. La (ri)lettura di album musicale su Movieplayer è qualcosa di più unico che raro. Però, almeno in questo caso, azzardiamo e ci proviamo. Del resto, le vibrazioni che arrivano, traccia dopo traccia, hanno tutte un fortissimo sapore visivo, oltre che sonoro. Sarà banale scriverlo, ma ciò che arriva da Notti brave Amarcord, quarto album da solista di Carlo Luigi Coraggio aka Carl Brave, è una forte consapevolezza mista alla più tagliente delle sensazioni: la nostalgia.

Nemmeno a dirlo, l'album, il primo pubblicato con Warner Music, è il più maturo del cantautore romano. Si inizia con i sogni inseguiti con la rincorsa, il vino rosso, e quel sound disilluso che si evolve verso un ritmo sempre diverso e sempre nuovo, in cui la preponderante romanità dell'artista viene fuori dirompente (e quanto l'amiamo), "senza un filo di trucco", cantando minuziosamente - tra rime baciate e il giovedì al Goa, tra giri in macchina e ragnatele - ciò che ha vissuto e, di riflesso, ciò che ha vissuto la sua generazione, quella più complicata di tutte: i millennials.
Ci vediamo al San Callisto

Tredici tracce più una traccia bonus, Perfect, in featuring con Sarah Toscano che, giusto per fare le cose fatte bene, è già la mina dell'estate 2025. Notti Brave Amarcord è un disco arrabbiato (basti pensare a Morto a galla), completo, volubile e incredibilmente poetico in una freschezza di note e parole che Carl Brave mastica senza indugio, dedicando, spesso, un pensiero a "quegli amici che non ci sono più".
Le lacrime e sangue, e poi la marea, l'isola Tiberina, i coatti al San Callisto con i tavolini baciati dal sole: quell'avamposto anarchico e popolare della Roma trasteverina, a cui Coraggio dedica un brano da lacrimoni. Tutto ancora uguale al quel bar già cantato con l'ex amico Franco126 in quel capolavoro che fu Polaroid, e oggi rivisto dal cantante seguendo un tono che miscela fiati, percussioni, effetti e quell'andamento strascinato che pizzica le corde di una chitarra. È il nostro suono, di "noi fuori a quel bar", in una vita che "vorremmo rivivere". Sempre di sabato, sempre a Roma, sempre in riserva.
I giorni di gloria di Carl Brave
Appunto, una vita fa. Notti brave Amarcord, fin dal titolo, fin dalla cover (un piccolo Carl Brave in braccio a sua mamma), è l'esplorazione di quei giorni di gloria già cantati da Bruce Springsteen. Le teste calde, il piede sulla targa per ingannare la ZTL, i cuori spezzati, la PlayStation e i fugoni. Lui c'è, noi ci siamo, manca però tutto il resto: manca l'incoscienza, la spensieratezza, la libertà di essere fuori luogo e fuori posto. Il dolcissimo e straziante concetto di nostalgia; ed è qui che arriva, soave, quasi religiosa, la splendida Paure: un manifesto dedicato al revival di noi stessi. Pezzo sincopato, arioso eppure strettissimo.
Le corse clandestine all'Eur, l'erba nel tubo delle Pringles, e le lacrime da asciugare, camminando a testa alta, con le paure strette in un pugno. Pura istantanea, pure immagini, puro cinema. Un disco che odora di metro B, di serate a San Lorenzo, di Nokia 3310, della musica tecno alla Sapienza, del respiro trattenuto "se passano le guardie", di quella ragazza che "al Burger King" facevamo sentire "una queen". I flash di un passato che sembra non sia passato: "Ho fatto dieci passi indietro", spiega Carl Brave, in un'intervista a Leggo, "Il disco l'ho scritto di getto e con i suoni in "reverse" perché tutto doveva andare al passato".
Notti Brave Amarcord: come un film
E come per Carl Brave, quei lampi trapassati non possono non invadere gli occhi. Ci viene da piangere a sentire l'album, ci viene da piangere come se stessimo vedendo la nostra vita al ritroso, tra alti e bassi, in un film musicale lungo trentasette minuti. Con la Smart in doppia fila, ma senza più il buongiorno prima di andare a scuola. Sembrava ieri a Fontana di Trevi, sembrava ieri a collassare in via della Lungaretta.
Canzone su canzone, Notti brave Amarcord guarda indietro puntando al futuro: "resta qua", canta in Ciobar, come a voler tenere stretta ancora un po' quell'emozione che scalcia, strabordando da un album che esaspera la mancanza di quegli inafferrabili attimi dissolti nel tempo. Senza più aspettare che torni, 'sta volta. E quindi non resta che raschiare il fondo per assaporarlo meglio, vivendo la vita per come viene. Ricordandoci sempre di respirare nel buio. A bere con i soliti, e tornare poi da soli.