"Cos'hai mai fatto di tanto sbagliato?". È Peggy Olson, al telefono da New York, a porre questa domanda a Donald Draper: una domanda da cui scaturisce il bilancio impietoso di un'esistenza intrappolata in spaventose contraddizioni e rimorsi divoranti. Il dialogo a distanza fra i due protagonisti storici di Mad Men dura giusto il tempo di un rapido scambio di battute, eppure rimane una fra le sequenze più drammatiche ed emozionanti di Person to Person, l'episodio conclusivo dell'epopea di Mad Men.
A quasi otto anni di distanza dal suo esordio sugli schermi (era il 19 luglio 2007 quando la AMC mandava in onda negli Stati Uniti Smoke Gets in Your Eyes), la serie ideata e scritta da Matthew Weiner cala il sipario sui suoi indimenticabili personaggi, con un finale che appare come un significativo punto d'arrivo per molti di loro, ma che al tempo stesso costituisce anche e soprattutto un "capitolo aperto", piuttosto che un vero epilogo, nel pieno rispetto dello spirito di un racconto che ha mutato radicalmente il volto della TV contemporanea.
La fine di un'era
Accolto dalla critica, fin dai suoi esordi, come un capolavoro di costruzione narrativa e di complessità psicologica, Mad Men è una serie che si è sempre distinta per il suo approccio del tutto antispettacolare; un approccio a cui corrispondeva un precipuo interesse nel mettere in evidenza luci ed ombre nei rapporti fra i personaggi, nonché l'infinita gamma di sfumature dei loro stati d'animo. Una serie, Mad Men, straripante di sottotesti, di minuscole notazioni e dettagli che finiscono per risultare perfino più importanti degli eventi stessi, trascinando lo spettatore in un universo - l'America degli anni Sessanta - evocato con scrupoloso realismo e permeato da un senso di assoluta concretezza e credibilità. Uno stile, quasi un marchio di fabbrica, a cui Matthew Weiner ha tenuto fede fino in fondo: anche in quel "gran finale" che gli appassionati della serie attendevano con trepidazione da mesi, e che non si è limitato ad una semplice "chiusura del cerchio".
Person to Person, del resto, va considerato all'interno di un percorso - e di un discorso - iniziati (o meglio ripresi) già dai primi di aprile, con la programmazione dell'ultimo blocco di sette episodi, intitolato emblematicamente The End of an Era. Il salto temporale, rispetto alla prima metà di questa settima stagione, ci trasportava nella primavera del 1970, all'alba di un nuovo decennio: i Sixties ormai appartenevano al passato, l'uomo aveva messo piede sulla Luna e Don Draper, reduce da un altro divorzio e in preda ad un'inguaribile insoddisfazione, si affannava ad inseguire fantasmi (letteralmente!) e ad aggrapparsi al rimpianto per amori mai vissuti (il suo fugace sentimento per la cameriera Diana). L'affermato professionista, il geniale talento creativo e l'amorevole padre di famiglia incontrato per la prima volta in Smoke Gets in Your Eyes ci appariva, con lampante ineluttabilità, con le fattezze della sagoma umana in caduta libera da un grattacielo - un'immagine contemplata decine e decine di volte durante la sigla della serie.
California dreamin'
Dal Deserto del Gran Lago Salato, nello Utah, dove Don sfreccia a bordo di un'auto da corsa sulla melodia di Hello, I Love You dei Doors, al Big Sur, sulle coste della California, epicentro prima della Beat Generation e subito dopo della controcultura hippie, immortalato nell'omonimo romanzo di Jack Kerouac e fra le mete predilette di personalità quali Bob Dylan, George Harrison e Joni Mitchell. Per Don Draper, d'altronde, il "lungo addio" era cominciato già nel terzultimo episodio, Lost Horizon, quando l'uomo aveva abbandonato gli uffici della McCann Erickson nel bel mezzo di una riunione aziendale, senza alcuna spiegazione, per intraprendere un viaggio on the road diretto verso Ovest - e la chiusura di quell'episodio, non a caso, era affidata alle note della canzone-simbolo per eccellenza dell'alienazione e dello smarrimento di se stessi: la leggendaria Space Oddity di David Bowie.
Person to Person porta dunque a compimento la 'fuga' del personaggio interpretato da Jon Hamm, il quale, puntata dopo puntata, ha lavorato per sottrazione allo scopo di restituire l'indecifrabile complessità di questo modernissimo antieroe. Alla ricerca di un "porto sicuro", fra ragazze sessualmente disinibite e individui poco raccomandabili, Don bussa alla porta di Stephanie Horton (Caity Lotz), la nipote di Anna Draper (Melinda Page Hamilton), la vedova del soldato al quale, nel corso della Guerra di Corea, Don aveva 'rubato' l'identità; ma neppure Stephanie può offrire a Don il conforto di cui l'uomo ha un disperato bisogno. Contravvenendo alle convenzioni di un tipico series finale, Weiner sceglie di non riunire tutti i protagonisti per un ultimo, commosso saluto collettivo: al contrario, l'episodio rimarca l'abissale distanza 'fisica' fra Don e il mondo che si è lasciato alle spalle (o dal quale vorrebbe separarsi) nel tentativo di recuperare quella serenità interiore (in inglese la chiamerebbero, in maniera assai più incisiva, peace of mind) tanto agognata quanto illusoria.
Mad men & mad women
Ma non c'è solo Don Draper, ovviamente, fra le pagine di un "capitolo" che segna il congedo da una galleria di figure rese vivide, pulsanti e ormai familiari grazie a una scrittura impeccabile e ad un cast in perenne stato di grazia. Durante i quasi sessanta minuti di Person to Person, c'è il doveroso spazio per Pete Campbell (Vincent Kartheiser), in procinto di lasciare New York per trasferirsi in Wichita insieme all'ex moglie Trudy (Alison Brie), e per il suo affettuoso saluto con Peggy; c'è spazio per Roger Sterling (John Slattery), che sembra voler smettere i panni del donnaiolo incallito per cercare una nuova stabilità familiare nientemeno che con l'affascinante Marie Calvet (Julia Ormond), alla quale Roger propone di sposarlo, con il proposito di invecchiare insieme e diventare un'anziana coppia alto-borghese; e c'è spazio per la 'riscossa' di Joan Harris (Christina Hendricks), alla quale Ken Cosgrove (Aaron Staton) lancia una proposta di lavoro che la indurrà ad intraprendere una nuova, avvincente sfida professionale in qualità di produttrice.
Joan, la procace manager del personale della ex Sterling Cooper, si è rivelata uno dei personaggi più sorprendenti di Mad Men: una donna capace di frantumare lo stereotipo in cui troppo spesso i suoi colleghi maschi hanno preteso di incasellarla, per sfoderare una determinazione e una forza di carattere davvero formidabili. Costretta a rassegnare le dimissioni dalla McCann Erickson dopo essere stata sottoposta all'arroganza e agli atteggiamenti di mobbing dei suoi colleghi, Joan non è disposta ad accontentarsi di un placido ménage con il ricco pensionato Richard Burghoff (Bruce Greenwood), come pareva scontato fino alla puntata precedente, ma decide di tuffarsi in una nuova avventura lavorativa, a costo di dover sacrificare la neonata relazione con Richard. Se le prime stagioni di Mad Men illustravano una società intimamente sessista e caratterizzata da disparità di genere che rientravano in tutto e per tutto nella norma, il "passaggio di boa" fra gli anni Sessanta e i Settanta lascia intravedere l'orizzonte di un'auspicata emancipazione per il gentil sesso, intenzionato a conquistare nuovi diritti. E Joan, che alla Sterling Cooper si era già aggiudicata un posto fra i soci dell'agenzia, è pronta a farsi trasportare dal vento del cambiamento conciliando la sua duplice veste di madre single e di donna in carriera...
Donne al telefono
In parallelo con la parabola di Joan, anche all'altra protagonista femminile di Mad Men, Peggy Olson, Weiner regala un meritato happy ending che, nel suo caso, le permetterà di coniugare felicemente vita professionale e sentimentale. Peggy, avviata ad una consacrazione fra i maggiori talenti nel campo della pubblicità, è infatti al centro di una sequenza di trascinante romanticismo: un romanticismo non certo abituale per la penna lucidissima (talvolta addirittura con punte di cinismo) di Matthew Weiner, ma tutto sommato in linea con il percorso narrativo di Peggy, che la bravissima Elisabeth Moss ha saputo trasformare in uno dei personaggi più carismatici del piccolo schermo. La sequenza della telefonata fra lei e il suo collega Stan Rizzo (Jay R. Ferguson), con la loro reciproca, inaspettata, un po' goffa e deliziosamente spontanea dichiarazione d'amore l'uno all'altra, è una concessione al sentimento - e alla commedia brillante - che strappa inevitabilmente il sorriso.
Ma Peggy, non dimentichiamolo, è anche l'ultima sponda alla quale Don Draper si rivolge in un momento terribilmente difficile. Nel corso dell'episodio, difatti, Don entra in contatto con le tre donne più importanti della sua vita mediante tre telefonate. La prima, asciutta ma dolorosa, è quella con la figlia sedicenne Sally (Kiernan Shipka), la quale lo informa della malattia della madre. Per Don, questa notizia è la doccia gelida che dissipa in pochi istanti la sua effimera euforia di poco prima, precipitandolo in un intenso stato di angoscia: un'angoscia acuita da quel senso di inadeguatezza - come marito, come padre - che all'improvviso ripiomba sulle sue spalle, con un peso talmente gravoso da risultare insostenibile. La telefonata successiva porta ad un'ultima, struggente conversazione fra lui e Betty (January Jones); alla richiesta di Don di riprendere l'affidamento dei loro due figli, la donna risponde con pacata freddezza: "Voglio mantenere il più possibile la normalità; e la tua assenza fa parte di essa". Uno scambio di battute che suggella fra le lacrime il rapporto fra i due ex coniugi, un tempo amorevole e poi sempre più problematico e contrastato.
I'd like to buy the world a Coke
La telefonata fra Don e Peggy conduce alla prima, vera confessione da parte dell'uomo, nonché ad un momento di catarsi che anticipa quanto avverrà di lì a poco. Don, scosso dalla consapevolezza della morte imminente di Betty, ma anche dal distacco che si è creato fra lui e sua figlia, chiama Peggy, rivelandole di non essere "l'uomo che pensi che io sia". La relazione fra Don e Peggy, avviata come un tipico rapporto fra il maestro e l'allieva, ha assunto una profondità sempre maggiore con il trascorrere delle varie stagioni di Mad Men, dando vita a uno dei legami (stima reciproca? Amicizia? Affinità spirituale?) più intriganti e suggestivi visti in TV, e non sarebbe stato concepibile negare un ultimo confronto fra i due personaggi più memorabili e rappresentativi della serie. "Ho chiamato solo perché mi sono reso conto di non averti mai detto addio", le dice infine lui, prima di riagganciare il telefono.
Ma paradossalmente, non è il confronto con la sua ex moglie o con un'amica ad abbattere le ultime 'difese' di Don, bensì le parole di un perfetto sconosciuto. La climax emotiva di Person to Person arriva infatti quando Don, a una delle riunioni del gruppo di terapia spirituale in cui lo ha condotto Stephanie, riconosce il suo stesso vuoto interiore, la medesima paura della solitudine, nello sfogo di un uomo di nome Leonard: "Ho sognato di trovarmi su una mensola del frigorifero. Qualcuno chiude la porta e la luce si spegne. Poi la porta si apre e li vedi sorridere, e sono felici di vederti... ma forse non stanno guardando verso di te. E poi la porta viene richiusa e la luce si spegne". Don, che fino ad allora aveva assistito all'incontro con indifferenza mista a scetticismo, di colpo si alza in piedi, si dirige verso Leonard e, stringendolo in un abbraccio, si abbandona ad un pianto dirotto. Per Don esiste forse la possibilità di cambiare, di ricominciare una nuova esistenza, di recuperare quell'equilibrio che pare essersi irrimediabilmente incrinato?
L'ultima sequenza dell'episodio, nonché dell'intera serie, non fornisce una risposta univoca a tale interrogativo, ma gioca sul filo di un'ambiguità che lascia spazio a diverse possibili interpretazioni. In un contesto alquanto inusuale per un individuo razionalista e pragmatico come Don, vale a dire una sessione di yoga su una scogliera che si affaccia sull'oceano, la macchina da presa si stringe su un primissimo piano di Jon Hamm. Ad un tratto, per un istante, il volto di Don viene increspato da qualcosa che potrebbe somigliare a un sorriso... la prospettiva di una pace finalmente ritrovata? L'orizzonte di un futuro ancora tutto da costruire? La scogliera scompare e il primo piano di Don cede il posto alle immagini sbiadite di uno spot pubblicitario: lo storico spot della Coca-Cola del 1971, in cui la musica e i versi della canzone I'd Like to Teach the World to Sing vengono rielaborati nel fortunatissimo jingle dal titolo I'd Like to Buy the World a Coke. Un contrappunto, meravigliosamente ironico, alla presunta "rinascita" di Don Draper? La pace dell'animo barattata per una trionfale formula pubblicitaria? "It's the real thing", recita il verso finale della canzone... ma poi in fondo esiste davvero, the real thing?