Seconde generazioni e emergenza abitativa. Hleb Papou giovanissimo regista di origini bielorusse e italiano d'adozione, le racconta nel suo esordio alla regia, Il legionario, un film d'azione che usa le regole del genere per riflettere sul sociale e affrontare tematiche ancora troppo poco esplorate. La storia è ambientata tra i reparti della celere e un palazzo occupato (che esiste veramente) nel cuore di Roma. Il punto di incontro di questi due microcosmi è il protagonista Daniel, un celerino nero, che si ritrova a dover sgomberare lo stabile in cui vive la famiglia d'origine. Premiato come miglior esordio al Festival di Locarno dello scorso anno, il film (in sala dal 24 febbraio) affronta ora il banco di prova del pubblico.
Alle origini del film: tra celere e palazzi occupati
Alla base de Il legionario c'è il tuo cortometraggio di diploma al Centro Sperimentale. Quali possibilità ti ha offerto il lungometraggio?
Il corto era limitato e certi temi erano stati sviluppati fino a un certo punto, mentre il bagaglio di cui ci eravamo impossessati durante la ricerca sul campo era talmente vasto che serviva un racconto più ampio per poterlo inglobare. L'idea poi di portare questa storia al grande pubblico e soprattutto le tematiche - l'Italia che cambia, le seconde generazioni - ci hanno spinto a realizzare il film.
La storia è ambientata tra il reparto della celere e un palazzo occupato da sgomberare, due comunità ognuna con le proprie regole. Che tipo di ricerche hai fatto?
Pur essendo opposti questi due mondi paradossalmente si assomigliano molto. Seguono dei codici ben precisi, sono delle vere e proprie famiglie e Daniel si ritrova in mezzo: è un celerino tra gli occupanti e un occupante tra i celerini. Per quanto riguarda le ricerche, siamo riusciti a conoscere un poliziotto del reparto Mobile a cui poi abbiamo accostato Germano Gentile che interpreta Daniel e il resto della squadra che si vede nel film. Questo succedeva anche dai tempi del corto, poi durante il lungo abbiamo continuato.
Hai imparato qualcosa di nuovo su questi mondi?
Avevo tanti stereotipi, ma scrivendo ho imparato che se vuoi raccontare una storia devi lasciare a casa le tue opinioni personali e andare a esplorare i temi su cui si basa il racconto senza giudicare. Io e i due sceneggiatori siamo molto diversi, ma ci siamo messi al servizio della storia lasciando a casa le nostre convinzioni politiche o sociali.
E su cosa ti sei dovuto ricredere?
Nel caso della celere ho capito che dietro a un casco e a una divisa c'è una persona in carne e ossa che respira e ragiona, un essere umano con dei sentimenti. Non sono dei robot, ognuno può avere la propria idea, ed è assolutamente vero che a volte esagerano e sono violenti, però è tutto molto complicato. Lo stesso discorso vale per la casa occupata: è un microcosmo con una sua costituzione interna. Ho scoperto ad esempio che tra gli occupanti c'è chi vota Salvini e Meloni, non me lo sarei mai aspettato.
Il legionario, recensione: Identità smarrite
Come hai conquistato la loro fiducia?
Io e i due co-autori del film siamo entrati dentro quel palazzo, come anche nei reparti della celere, durante la scrittura del cortometraggio, quindi quando eravamo ancora dei diplomandi del Centro Sperimentale. Poi con il lungo le nostre relazioni con il palazzo si sono intensificate, ma è successo tutto con molta onestà: sapevano benissimo, perché li informavamo, che una sera andavamo in caserma e il giorno dopo da loro. Eravamo lì a conoscere, vedere, capire e costruire una storia il più trasparente possibile.
Ci sono alcuni riferimenti a precisi fatti di cronaca come la sequenza dell'elemosiniere del papa che nel 2019 sbloccò il contatore degli occupanti. Come è nata quella scena?
Abbiamo girato proprio in una casa occupata, che è reale e che è quella che si vede nel film. È lo stabile ex Inpdap di Via Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Quel fatto successe proprio mentre scrivevamo il film, era maggio 2019 e poco dopo decidemmo di metterlo in sceneggiatura.
Nel cast ci sono anche attori non professionisti?
Sì, a parte i ruoli principali interpretati da attori professionisti, ne ho scelto alcuni tra gli occupanti che vivono nel palazzo dopo aver fatto dei provini; ma la maggior parte dei ruoli del film si basano su personaggi reali che abbiamo incontrato nella case occupate.
Tra Audiard e Sollima
Il personaggio di Daniel incarna un po' la conflittualità che attraversa l'intero film, un ponte tra due mondi. Da dove viene?
Mi è capitato di incontrare in polizia agenti "multietnici", poliziotti nati in Italia ma di origini straniere: neri, asiatici, ma anche di altre nazionalità. Daniel nasce da un'immagine della celere di pelle nere, so che ce ne sono, ma non ne ho mai incontrato uno in Italia.
Si parla anche del sentirsi straniero in un luogo. È così?
Per me Daniel è italianissimo e fa un lavoro che gli pace; da autori non ci siamo mai posti il problema che fossero figli di immigrati, per noi erano italiani e poco importava che fossero neri, bianchi, gialli, rossi, verdi, cristiani o musulmani. Il conflitto era un altro, il protagonista si ritrova a dover esercitare il proprio lavoro e a scontrarsi con le proprie origini, ma solo all'interno di quel palazzo. Proprio quando Daniel ha ormai raggiunto il suo piccolo sogno borghese con un appartamento e una compagna da cui sta per avere un figlio, il passato bussa alla porta e sarà lui a dover sgomberare la casa occupata in cui è cresciuto con la squadra che in qualche modo lo ha adottato. Rischia di vedere sgretolarsi la sua posizione sociale e familiare costruita fino a quel momento, cerca di mediare provando a essere un bravo polizotto da un lato e a non perdere il legame con la propria famiglia d'origine.
Quali sono stati i tuoi riferimenti? Il film fa ripensare molto ad Acab di Sollima...
Sono cresciuto guardando film di genere; Acab l'ho visto e rivisto, ma c'è anche tutto il cinema impegnato che affronta questioni sociali attraverso l'intrattenimento e punta al grande pubblico. In cima ci sono Audiard, Villeneuve e film come Les miserables di Ladj Ly., il danese Shorta o Tropa de Elite che rimane il mio preferito.
Sei già al lavoro su altro?
Stiamo scrivendo il secondo film, che riguarderà sempre su un fenomeno mai raccontato prima in Italia, ma che non avrà a che fare con le seconde generazioni.