God is a Woman, la recensione: una riflessione sull'importanza dell'arte e del tramandare le tradizioni

La recensione di God is a Woman: il regista Andrés Peyrot firma un'opera prima affascinante e stimolante, ben equilibrata tra la dimensione storica legata al mondo del cinema e riflessione culturale.

God is a Woman, la recensione: una riflessione sull'importanza dell'arte e del tramandare le tradizioni

Il regista svizzero-panamense Andrés Peyrot debutta alla regia di un lungometraggio con God is a Woman, film di apertura dell'edizione 2023 della Settimana della Critica.
L'affascinante progetto riesce a raccontare un capitolo poco conosciuto della storia del cinema mettendo al tempo stesso al centro della narrazione i soggetti di un documentario "perduto", riuscendo a offrire un ritratto ricco di sfumature dei suoi soggetti.

Un'opera incompleta

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God Is A Woman: una foto del film

Al centro della trama del documentario God is a Woman c'è infatti il popolo Kuna che il premio Oscar Pierre-Dominique Gaisseau aveva scelto come protagonista di una sua nuova opera, dopo aver vinto il premio Oscar.
Il filmmaker si era quindi trasferito insieme alla moglie e alla figlia nell'area, vivendo a Panama per oltre un anno.
A ostacolare la produzione del suo film sono stati però i problemi economici che hanno portato alla confisca delle bobine girate in quel periodo. A distanza di molti decenni i Kuna non hanno ancora potuto vedere il film, diventato oggetto di racconti che hanno assunto, di generazione in generazione, dei contorni simili a una leggenda, fino a quando a Parigi viene scoperta una copia dell'opera.

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God Is A Woman: una sequenza

Una narrazione ben costruita

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God Is A Woman: un'immagine del film

Peyrot sa trovare il giusto equilibrio tra lo spazio dato alla parte della storia in cui si ripercorre il fallimento di un progetto e come il lavoro di un artista rischi di andare perduto per sempre a causa di questioni burocratiche, mostrando anche il tragico deterioramento della pellicola originale, e quello dato al popolo Kuna, allontanandosi inoltre da facili stereotipi. Tramite i dialoghi con le persone coinvolte nelle riprese del film di Gaisseau, il regista porta alla luce le difficoltà che si possono incontrare nel ritrarre tradizioni e culture radicalmente diverse dalla propria. Dopo quasi cinquanta anni, infatti, anche chi era stato coinvolto dal premio Oscar, come l'anziano Arysteides Turpana, è consapevole che si rischi sempre di offrire una prospettiva non obiettiva e persino idealizzata di un modo di vivere con pochi punti in comune con la quotidianità occidentale. Dall'enfatizzare la struttura matriarcale della società, a cui fa riferimento anche il titolo Dio è donna, a tratteggiare immagini idilliache che potrebbero stimolare il turismo, chi lavora a un documentario dovrebbe essere attento a non compiere errori che potrebbero far spezzare il rapporto di fiducia con i propri soggetti.

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God Is A Woman: il regista Andres Peyrot in una foto

Andres Peyrot riesce a farlo dando spazio alle esperienze delle varie generazioni e celebrandone il desiderio di tramandare la propria cultura, anche tramite un ritrovamento agognato a lungo, e di promuoverla in modo nuovo, due approcci che spesso non sono in sintonia. Sullo schermo si passa quindi dalle sequenze musicali a ritmo di rap ai rituali tradizionali, regalando anche dei simpatici ed emozionanti dialoghi tra chi aveva girato il documentario di Gaisseau e chi è nato anni dopo, dovendo quindi solo fidarsi, non senza un pizzico di scetticismo, di quanto raccontato fino a un epilogo in cui passato e presente si fondono con immagini suggestive e cariche di significato.
L'importante concetto del potersi riappropriare della propria storia, avendo così a proprio favore il potere dell'arte di immortalare momenti e storie, sostiene bene God is a Woman, regalando un'opera stimolante e con più di uno spunto di riflessione, visivamente ben costruita e musicalmente coinvolgente.

Conclusioni

Come visto nella nostra recensione, Andres Peyrot compie un esordio convincente con il suo documentario God is a Woman. La narrazione si evolve senza intoppi mantenendo sempre alta l'attenzione e offrendo numerosi elementi in grado di far riflettere sull'importanza culturale dell'arte cinematografica e sulle difficoltà affrontate dalle popolazioni nel preservare le proprie tradizioni.
Pur non approfondendo del tutto alcuni passaggi della storia e dichiarazioni, il film riesce senza fatica nel suo intento, artistico ed educativo.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Il regista ha la capacità di intrecciare varie dimensioni narrative in modo convincente.
  • L'onestà delle persone coinvolte, che non esitano a condividere le proprie opinioni, è efficace.
  • Il contrasto tra le varie generazioni è gestito con bravura dal regista.

Cosa non va

  • Alcuni passaggi della storia vengono gestiti in modo fin troppo rapido.
  • Un paio di interviste avrebbero forse meritato maggiore spazio.
  • La sequenza finale, seppur emozionante e di grande impatto, avrebbe potuto durare qualche minuto in più per permettere di apprezzare pienamente l'opera di Gaisseau.