Sembra che, in questa diciassettesima edizione, il pubblico del Far East Film Festival si stia trovando di fronte ad una selezione più diversificata che in passato, con una ribadita presenza dei generi (quelli che hanno fatto la fortuna della manifestazione friulana) unita però a un maggior peso della proposta più autoriale e classicamente "da festival". Quest'ultima, a dire il vero, non è mai mancata sullo schermo del Far East (si pensi solo all'edizione del 2005 e al premio del pubblico vinto da Peacock); ma l'impressione di chi scrive è che, quest'anno, il suo peso specifico, sia in termini qualitativi che quantitativi, sia nettamente aumentato nel complesso della selezione della manifestazione. La presenza di opere come il road movie cinese The Continent di Han Han (con presenza, nel cast, del regista Jia Zhang-ke), dell'indonesiano How To Win At Checkers (Every Time), del dramma sociale sudcoreano Cart di Boo Ji-young, sta lì a testimoniarlo.
Anche nelle due giornate che prendiamo oggi in esame, comunque (quelle del 28 e del 29 aprile) non sono mancate opere di intrattenimento, più o meno riuscite, più o meno gradite dal pubblico di Udine: tra queste spicca senz'altro il trittico costituito da Hollow, The Swimmers e The Wicked, tre horror (rispettivamente di produzione vietnamita, tailandese e sudcoreana) che proseguono in parte una tradizione (quella del defunto Horror Day) anch'essa da sempre appartenente alla storia del Far East.
Scampoli di Horror Day
Proprio dal sopra citato trittico (proposto tra la mattinata e la sera del 29 aprile) iniziamo questa breve ricognizione, e nella fattispecie da quello che è senz'altro, al suo interno, il titolo più riuscito: parliamo del vietnamita Hollow, ghost story che lega frammenti (ma parleremmo più che altro di reminiscenze) di J-Horror a un impianto narrativo fortemente melodrammatico; calato, quest'ultimo, in una realtà sospesa tra credenze e superstizioni antichissime, e la sempre attuale piaga della prostituzione minorile. Il film di Tran Ham, a dire il vero, funziona maggiormente come melodramma e fotografia di una realtà che è inquietante di suo, piuttosto che come pura macchina da spaventi: di paura, in effetti, se ne prova poca, complice il look cheap e il carattere derivativo di alcune scene. Tuttavia, va riconosciuta l'efficacia del ritratto sociale e della componente puramente emotiva/melò del film di Tran.
Decisamente meno interessante, invece, e dalla narrazione più pasticciata e inconcludente, il tailandese The Swimmers, diretto da Sopon Sukdapisit: uno spunto interessante per quanto derivativo (il suicidio di una ragazza contesa tra due amici) porta a un miscuglio di suggestioni che si muovono sempre pericolosamente sull'orlo del trash, perdendo pezzi di trama per strada e accumulando incongruenze, ma soprattutto improntando il tutto a un horror di grana grossa, che annulla le buone premesse del soggetto.
Dal tono diverso, ma ugualmente incerto sulla direzione da prendere, il thriller ad ambientazione lavorativa The Wicked di Yoo Youngseon: storia di stregoneria contemporanea e di leggende metropolitane, di mobbing e solitudine, di emarginazione e vendetta cieca. Sospeso tra una satira di costume che mostra qualche freccia al suo arco, e il genere puro, il film di Yoo non riesce tuttavia ad essere né l'uno né l'altro, non andando oltre qualche buona intenzione figurativa (tra queste, la lunga sequenza finale).
Memoria e impegno
Anche due importanti documentari sono stati mostrati, in questi due giorni, sullo schermo del Teatro Nuovo: due opere dal carattere solo diametralmente opposto. Se Southeast Asian Cinema - When The Rooster Crows, infatti, racconta le esperienze di quattro "autori" del cinema asiatico contemporaneo (Brillante Mendoza, Eric Khoo, Garin Nugroho e Pen-Ek Ratanaruang) con le sfide affrontate da un cineasta all'interno dei rispettivi contesti politico/sociali, Garuda Power: The Spirit Within (per l'approfondimento del quale rimandiamo alla recensione) si concentra sulla storia del cinema d'azione indonesiano; non mancando, però, di svelare come la brutale dittatura di Suharto, e la chiusura di ogni spazio di democrazia nel paese, abbia contribuito alla distruzione di quella che era un tempo un'industria florida e vitale.
Sul fronte dei ritratti sociali, caratterizzati da percorsi politici ben delineati, vanno citati il già ricordato Cart di Boo Ji-Young, dramma quasi à la Dardenne incentrato sulla solidarietà tra un gruppo di lavoratrici di un supermarket; ma anche l'indonesiano How To Win at Checkers (Every Time), ritratto minimale ma intenso della gioventù tailandese, della dilagante corruzione, delle differenze di classe che tuttora sono capaci di segnare vite e destini; una citazione, su questo fronte, va fatta anche per il cinese Uncle Victory di Zhang Meng, insolito dramma noir con protagonista un ex detenuto, che dice molto sulla Cina contemporanea asciugando il "genere" e rimandando, in parte, a un cinema culturalmente lontano, ma esteticamente affine, come quello del primo Takeshi Kitano.
Adrenalina, viaggi e redenzioni
Tra le restanti proposte di queste due giornate è d'obbligo citare, a prescindere dai suoi stessi risultati, anche l'action movie cino/hongkonghese Helios (diretto da Sunny Luk e Longman Leung) proposto dal Far East nella serata del 28 aprile, in contemporanea con la sua prima ad Hong Kong. I due registi, che già si erano messi in luce col precedente Cold War, confezionano un altro action movie ad alto budget, tecnicamente impeccabile, ricco di twist narrativi ed elaborate sequenze d'azione. Un perfetto prodotto della sinergia produttiva tra i due paesi, il film di Luk e Leung; in cui però, al di sotto della sfarzosa confezione, si fatica a rintracciare un'anima, una personalità registica definita, uno sviluppo narrativo e dei personaggi realmente capace di emozionare.
Di produzione unicamente hongkonghese, invece, è il film a metà tra noir e commedia Gangster Pay Day; in questo, Lee Po-Cheung fa uso di un volto storico del cinema della ex colonia (quello di Anthony Wong Chau-Sang) per narrare la storia della redenzione di un esponente delle triadi, del suo amore per una donna più giovane e della sua lotta per difendere la tea-house di proprietà di lei. Per una buona metà quasi un film per ragazzi, dal tono favolistico e consolatorio, il film di Lee fa una brusca virata verso il dramma noir nella sua seconda parte, restando così irrisolto tra i due approcci. Resta, comunque, il fatto che il volto segnato e carismatico di Wong, unito alle riprese della Hong Kong più notturna, bastano da soli a conferire al film (quantomeno) una certa efficacia visiva.
Dalla Cina mainland, e con un tono completamente diverso, viene invece il road movie The Continent di Han Han, già scrittore, blogger e pilota di auto da corsa: il resoconto del viaggio attraverso il paese di tre diversi personaggi, che rappresenta un simbolico taglio con un passato, personale e collettivo, e una ricerca che da fisica assume valenze sempre più metaforiche.