Quando di cognome fai Chaplin è plausibile che questo possa aiutarti se un giorno decidi di fare l'attrice. Al di là del suo esordio ancora bambina nel capolavoro Luci della ribalta tenuta a battesimo dal genio di suo padre Charlie, Geraldine Chaplin è arrivata al cinema molto più tardi, dopo una carriera come ballerina e alcune esperienze nel mondo del circo. E non ha alcuna difficoltà ad ammettere candidamente di dovere tutto al cognome di suo padre, del quale non ha sentito il peso come accade talvolta ad alcuni figli d'arte, ma anzi l'ha fatta sempre sentire amata e circondata dell'affetto che tutto il mondo provava per il genio di Charlot.
Una lunghissima carriera internazionale, Geraldine Chaplin continua ancora a recitare indifferentemente in inglese, francese e soprattutto in spagnolo, retaggio del lungo sodalizio artistico e sentimentale col regista Carlos Saura. A Roma per presentare l'ultimo film Sand Dollars, ci ha parlato dei suoi ricordi d'infanzia: Charles Chaplin si trasferì con la famiglia in Europa negli anni '50 accusato di essere comunista, ma noi "abbiamo sempre pensato che fossimo in vacanza". Il retaggio di essere cresciuta in un ambiente dove si respirava creatività l'ha accompagnata durante tutta la sua carriera, dove ha lavorato con numerosi registi: la predilezione per Robert Altman, e la generosità di concedersi a dei debuttanti che la ispiravano. Di questo e di molto altro ci ha parlato durante un incontro al Festival di Roma.
Gli inizi: danza, circo e poi il cinema
Cominciamo dagli inizi, del suo passato quando era ancora una ballerina di danza classica.
La danza classica è stato il mio primo amore. Poi lei mi ha abbandonata ma io non ho abbandonato lei. Nel senso che avevo ancora la voglia e le intenzioni nella mia testa, ma il mio corpo non mi ha seguito e non mi ha più permesso di esserlo. E allora l'ho odiata. É stato frustrante, un rapporto prima di amore e poi di odio. Sono tornata ad apprezzarla grazie a Pedro Almodóvar, che in Parla con lei mi ha regalato questo ruolo bellissimo di un'insegnante di danza... e in quella occasione è sbocciato di nuovo l'amore.
La transizione col cinema quando e come è avvenuta?
Lavoravo in un circo con degli elefanti all'epoca. Vi assicuro che al di là della sua poesia quell'ambiente non era tutto rose e fiori. Ho pensato che mi serviva un lavoro e avrei potuto fare l'attrice... d'altronde il cognome era di quelli buoni! Il giorno dopo mi sono ritrovata in un film con Jean-Paul Belmondo (Rapina al sole, ndr).
Crescere con Charlot
Come è stato crescere con un cognome come il suo? Qual è stato l'impatto sulla sua infanzia?
Sicuramente sono cresciuta in un ambiente dove si respirava creatività. Papà lavorava dalla mattina alla sera e noi dovevamo fare silenzio perché il "genio" era al lavoro. Noi abitavamo in Svizzera, tagliati fuori dal resto del mondo, eravamo a tre ore dall'aeroporto più vicino, ma ogni tanto veniva a trovarci comunque qualcuno. Certo, non era Hollywood.
Il cognome che porta è stato comunque un vantaggio per la sua carriera?
Un enorme vantaggio, che mi ha spalancato tutte le porte, devo tutto al mio cognome: l'ombra di mio padre tutt'oggi è ancora qui, e io ne sono contenta. Era l'uomo più amato al mondo e io mi sentivo circondata d'affetto: nessuno me lo faceva pesare, come spesso accade ad alcuni figli d'arte, di essere la figlia del "grande genio", anche se lui non amava questo termine. Anzi era proprio perché mio padre era Charlie Chaplin tutti si facevano in quattro per aiutarmi.
Prima ha parlato della Svizzera e delle poche occasioni di incontrare gente. Ci dica qualcosa sull'esilio di suo padre da Hollywood e l'impatto sulla sua carriera.
Mio padre ripeteva in continuazione "Non provo nessuna amarezza", lo ripeteva spesso, forse troppo spesso per esserne del tutto convinto... I miei sono stati straordinari in questo senso, non ho mai capito che eravamo stato cacciati, ho sempre pensato che fossimo in vacanza, una vacanza che si era protratta per un po' in effetti... A 14 anni ho capito che era stato allontanato con l'accusa di essere comunista: io ero già una marxista all'epoca per cui pensai che fosse una cosa eccezionale ed ero fiera di lui.
É vero l'aneddoto che suo padre esordì a quattro anni aiutando la madre mentre si esibiva in teatro?
Mia nonna perse la voce durante una rappresentazione, lui uscì fuori e l'aiutò cantando alla perfezione e imitandola benissimo, guadagnandosi qualche monetina.
Stasera a casa di Altman
Lei ha recitato in più lingue diverse e con più registi di altrettanti paesi. Quale periodo e quale regista ricorda in particolare se ne dovesse nominare uno?
La mia è stata una carriera veramente internazionale, e con tanti registi difficile pensare a uno solo ma a qualcuno in verità ripenso più spesso, per esempio a Robert Altman.
E che ricordi ha di lui?
Erano gli anni '70 in America, e con lui eravamo come una compagnia stabile. Era straordinario perché recitavi davanti ad un uomo che rappresentava l'ideale del pubblico, ti apprezzava. Ogni sera guardavamo il girato, tra alcool, popcorn e marijuana, era una festa. Per Nashville ci siamo incontrati tutti quanti col copione in mano e lui disse: "Bene, ora buttateli. Voi dovete pensare a chi siete, con chi siete e cosa provate. Al resto penso io. Componete anche le vostre canzoni se volete, ma i diritti sono miei". Altman apprezzava la fantasia e l'inventiva, apprezzava tutto quello che ognuno metteva di suo nella storia, lasciava libertà agli attori.
Gli occhi degli attori e registi debuttanti
Qual'è l'esperienza che si matura lavorando con tanti attori diversi?
Se guardo negli occhi di qualcuno e vedo che c'è qualcosa dietro, allora questo mi stimola. Con Yanet Mojica in Dólares de arena per esempio è stato molto stimolante perché lei non è una professionista e le sue emozioni sono autentiche; è stato difficile all'inizio, ma poi molto creativo per me come processo, di rapportarmi a lei e alle sue reazioni molto naturali e per niente impostate. Devo dire che mi ricordo molti attori che io guardavo negli occhi senza vedere nulla dietro, ma non ne farò il nome.
Lei ha sempre avuto una forte predilezione per i registi nuovi e originali, come é stato per Alan Rudolph.
Era il primo assistente di Altman, ricordo specialmente Remember my name dove recitavo con Anthony Perkins: un film che aveva un tocco leggero, un'ottima sceneggiatura e molta improvvisazione.
Questa generosità in un certo senso di dare fiducia a registi debuttanti in un certo senso le è rimasta
Vero. Con Juan Antonio Bayona per esempio, al primo sguardo si capiva che lui respirava cinema. Io sono diventata un po' il suo portafortuna, c'è la possibilità di lavorare di nuovo insieme in un film con Sigourney Weaver.
Qualcosa che non ha fatto e che vorrebbe ancora fare?
Tantissime cose non ho fatto e vorrei ancora fare, ogni parte, ogni ruolo è una nuova sfida: l'essere umano è diverso e il nostro mestiere è proprio quello rappresentarlo in tutte le sue infinite manifetazioni.
Qualche parola sul nuovo film Dólares de arena.
Assolutamente andate a vederlo. Bellissimo e toccante, sento come se fosse il migliore che ho mai fatto. Tocca tanti aspetti, la politica, i problemi sociali, ma in fondo è una storia d'amore, e tutti i temi sono trattati in maniera molto delicata. Mi sono commossa più volte durante la lavorazione e mi commuovo ancora adesso ripensandoci.