Uno come Paolo Sorrentino, che di immagini se ne intende, aveva colto l'importanza dei Daft Punk. Nel primo episodio di The Young Pope aveva fatto dire al suo Papa, Lenny Belardo, che voleva essere come i Daft Punk: non apparire per creare mistero. I Daft Punk si sono sciolti ufficialmente ieri, 22 febbraio 2021. È finita una storia, quella di Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo. E il duo non poteva che salutare il pubblico con un mini film, intitolato Epilogue. Sin dai suoi esordi, infatti, la band francese ha accompagnato la sua musica - già di per sé avanti sui tempi e allo stesso tempo ancorata al passato - con una fortissima identità visiva. Nell'arte degli alfieri del "French Touch", una musica che univa la house music alla disco anni Settanta, al technopop e al funk, c'è sempre stato tanto, tantissimo, cinema. Andiamo allora a vedere come i Daft Punk hanno unito musica e immagini.
Epilogue: come Zabriskie Point
Cominciamo dalla fine, perché la notizia è ancora fresca, E sì, è dolorosa. Il video di commiato dei Daft Punk, denominato Epilogue, è cinema allo stato puro. Si tratta infatti dello spezzone di un film, Daft Punk's Electroma, che i due hanno diretto e prodotto, e che era stato presentato in anteprima al Festival di Cannes 2006. I due artisti camminano di schiena nel deserto, verso spazi immensi e desolati. Uno dei due comincia a rallentare, resta indietro. La figura avanti, ormai, è un'immagine lontana, sfumata. Uno dei due si ferma. L'altro torna indietro. I due sono ripresi in primo piano, campo e controcampo. Uno dei due si toglie il giubbetto di pelle e si volta di schiena. Tutto intorno c'è il nulla, il silenzio, solo il rumore del vento. Uno dei due aziona dei tasti sulla schiena dell'altro e da il via ad un timer. L'uomo si allontana. Ora siamo in un campo lungo, lunghissimo: le figure sono minuscole, una linea separa il terreno brullo dall'orizzonte. Il conto alla rovescia finisce. E l'uomo salta in aria. L'esplosione viene ripresa più volte, da più punti di vista. Proprio come in Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. Non c'è più niente. Restano solo il cielo, la terra e il sole. È il tramonto. Parte un coro celestiale, su una base elettronica. 'Hold on, if love is the answer you're home', tratta dal loro pezzo Touch. "Tieni duro, se l'amore è la risposta sei a casa". È un addio bellissimo e struggente. E non poteva essere altrimenti con i Daft Punk.
Spike Jonze per Da Funk
Non poteva essere altrimenti, perché il duo francese era entrato prepotentemente nelle nostre vite in quel lontano 1997, con la loro musica (il primo album, Homework), ma anche con le loro immagini. Erano anni in cui la musica elettronica spadroneggiava, tra il trip-hop di Massive Attack, Portishead e Tricky, il big beat di Chemical Brothers e Prodigy e la jungle di Goldie. Ma la loro musica era diversa, robotica, ossessiva, eppure con un'anima. I Daft Punk sono entrati nelle nostre case con un suono e con un video: la canzone era Da Funk, ma il video si apriva con una scritta: "Daft Punk presents: Big City Nights". Come se ci stessero presentando un film. Non è un caso. A dirigere il video è Spike Jonze, e dentro c'è tutto il suo straniamento e la sua follia. È un film dal protagonista senza volto, un ragazzo dalla faccia di cane che gira di notte per una grande città, parlando con le persone. La musica è un unico riff acido ed elettronico, che si innesta su una cassa in quattro quarti e un contrappunto funky.
Michel Gondry per Around The World
Il livello si mantiene altissimo anche per il secondo singolo estratto da Homework. A dirigere il video di Around The World è un altro grande visionario del cinema, Michel Gondry. Che non ha paura di rappresentare la musica dei Daft Punk nel modo più semplice ed efficace possibile. La canzone, su un basso pulsante e sprazzi di tastiere, ripete in continuazione le parole "around the world" con una voce robotica. Gondry allora mette in scena dei robot, ingenui come possono essere le creature di Gondry (pensate alla recente serie tv Kidding): una tuta, degli stivali e un casco con delle antenne. Ma sono solo una parte di una coreografia che mette in scena ballerine che sembrano uscite da un film di Esther Williams, in cuffia e costume da bagno, ballerini con la tuta che richiama degli scheletri, e altri vestiti da mummie. Sullo sfondo, delle luci rotonde che si accendono e spengono come se fossero delle bolle di sapone che scoppiano. È la sua arte del sogno: semplice, infantile, eppure gustosissima. E perfetta per la musica dei Daft Punk. È un altro video che ha fatto la storia.
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Interstella 5555 e la Toei Animation
Quando ormai ci erano entrati dentro, musica e immagini, ci salutano per un po'. Quando li ritroviamo, con il loro secondo album, Discovery, è il 2001, e la musica è cambiata: è un technopop dal sapore anni Ottanta misto alla disco anni Settanta, ma assolutamente originale, come è nello stile Daft Punk. La loro musica è più calda, sognante, avvolgente. One More Time, il primo singolo, uscito a fine 2000, diventato il loro maggior successo, è ancora una volta scandita da una voce robotica, grazie all'effetto vocoder, ma stavolta è cantata. Sembra una discoteca di fine anni Settanta, primi Ottanta, presa e trasportata nello spazio dentro un'astronave. Sembrano i Kool And The Gang o gli Imagination che tramettono da Marte. E anche il video è di quelli che non si dimenticano: siamo dentro un cartone animato, un anime giapponese per la precisione, di quelli che guardavamo da bambini. One More Time potrebbe essere uno spin-off di Goldrake o Capitan Harlock. Al centro della storia c'è una band che suona su un palco. E infatti One More Time e Discovery non si fermano qui: diventano Interstella 5555, un film d'animazione del 2003 diretto da Daisuke Nishio, Hirotoshi Rissen, Kazuhisa Takenōchi e Leiji Matsumoto, prodotto dalla Toei Animation. Non è un caso, perché Leiji Matsumoto è proprio l'autore di Capitan Harlock e della serie animata cult Galaxy Express 999. È un film senza dialoghi, che si basa solo sulle canzoni dei Daft Punk: 14 canzoni che sono l'anima del film. Ed è stato presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al 56º Festival di Cannes.
Tron Legacy
Dal cinema d'autore al cinema mainstream, da Cannes alla Disney. Nel 2010 i Daft Punk sono stati chiamati per realizzare la colonna sonora del film Tron Legacy, che riprendeva, a più di 25 anni di distanza, la storia del seminale TRON, del 1982. I Daft Punk sono entrati allora nel cinema dalla porta principale, ma in fondo sono tornati in un ambiente in cui sono vissuti da sempre. Quella dei Daft Punk per Tron Legacy è stata una scelta perfetta: un film tecnologico e futurista, però anche rètro, perché riprendeva l'estetica di un film del 1982. Sono sempre stati così anche i Daft Punk, all'avanguardia ma sempre guardando al passato, agli anni Settanta e agli anni Ottanta. E il progetto è stato un altro passo avanti per i Daft Punk, che hanno suonato con un'orchestra di 100 elementi. I suoni dei Daft Punk sembrano presi dai videogame degli anni Ottanta e lanciati in qualche processore capace di potenziarli e spingerli nel futuro. Basta rivedere alcune sequenze con la loro musica per capire come i Daft Punk siano nati per il cinema.
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Il fantasma del palcoscenico
D'altra parte Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo hanno dichiarato di amare Il fantasma del palcoscenico (il musical del 1974 di Brian de Palma che riprende i temi de Il Fantasma dell'Opera, Il Gobbo di Notre Dame, Il ritratto di Dorian Gray e Faust) e di essersi ispirati a questa storia per la loro immagine. È così che nasce il loro look: il volto coperto da due caschi, uno cromato color acciaio e uno dorato, che non hanno mai abbandonato durante la loro carriera, o quasi (le foto dei due senza casco sono rarissime). "Ci fu un incidente nel nostro studio. Stavamo lavorando con il campionatore e questo, esattamente alle 9:09 del 9 settembre 1999, esplose. Quando riprendemmo conoscenza, ci accorgemmo che eravamo diventati dei robot" hanno sempre raccontato loro. Ciò ha creato uno strano caso di due superstar della musica di cui nessuno conosce il volto. È diventata anche una gag nel film Eden di Mia-Hansen Love: nonostante i milioni di dischi venduti intorno al mondo i due vengono lasciati fuori dalle serate mondane parigine, perché i buttafuori non sono in grado di riconoscerli. E così il loro anonimato, il senso di mistero, di attesa, di curiosità, ha fatto entrare ancor di più il geniale duo nel mito. Tanto che, al pari di J.D. Salinger, il Papa Lenny Belardo di Paolo Sorrentino, appena eletto, li prende ad esempio per la sua immagine. Non apparire è la scelta vincente. E se avessero ragione loro?