Claudio Gioè, il capo dei capi a Giffoni

Il siciliano più amato del piccolo schermo incontra la giuria di Giffoni riflettendo su temi complessi come la lotta alla mafia e il cambiamento della propria regione, ma anche svelandoci qualcosa di sé.

Lo abbiamo visto ne La meglio gioventù e ne I cento passi, ma il grande pubblico lo ricorda soprattutto per la sua partecipazione a fiction di successo come Il capo dei capi e Squadra antimafia - Palermo oggi. Claudio Gioè, palemitano doc, conosce bene la realtà di una regione controllata dalla criminalità organizzata e la sua carriera, finora, è stata caratterizzata dal fil rouge dell'impegno contro la mafia. Ma Gioè è anche un giovane scanzonato, pronto alla battuta, disponibile a concedersi a una giuria del Giffoni Film Festival strapiena di adolescenti e capace di star al gioco quando una ragazzina si improvvisa in una dichiarazione d'amore per il suo idolo. La discussione verte, però, soprattutto su temi impegnati dimostrando l'attenzione dei giovani ospiti di Giffoni nei confronti dell'attualità italiana.

Quello della mafia è uno dei temi ricorrenti dei tuoi lavori. Come giudichi i film e le serie in cui hai recitato?
Claudio Gioè: Sono orgoglioso dei lavori in cui ho recitato. Il capo dei capi è forse la prima fiction in cui la classe politica italiana dell'epoca viene messa al pari di un'associazione criminale. C'era bisogno di fare chiarezza, di fare il punto su una storia che ci è stata negata, di cui ancora non siamo pienamente consapevoli. Per via della natura del tema i film sulla mafia non possono essere risolutivi anche perché servono sentenze definitive, altrimenti gli autori verrebbero tutti denunciati. Io, da siciliano, sono fiducioso che nell'arco di qualche generazione il problema verrà risolto.

Tatti Sanguineti, in un incontro rilasciato a Giffoni, ha sminuito la notizia secondo cui la troupe di Gomorra avrebbe pagato il pizzo alla camorra per poter girare il film. Dalle sue parole trapelavala rassegnazione per un sistema a cui è necessario assoggettarsi per realizzare un'opera importante come quella di Garrone.
Noi abbiamo fatto I cento passi e non abbiamo pagato nessuno. Ormai è chiaro che la mafia è un intermediario tra la popolazione e lo stato che fa perdere denaro, che non porta alcun vantaggio alla popolazione come alcuni credevano un tempo. Sta a noi riprenderci la nostra terra e decidere cosa fare del nostro futuro.

Sei abituato a interpretare personaggi molto diversi l'uno dall'altro. Che tipo di metodo utilizzi? Non ti spaventa affrontare sfide lavorative semrpe diverse?
Quando ho iniziato a fare l'attore non mi sono posto il problema di dover cambiare pelle. E' vero che esistono attori che fanno sempre lo stesso tipo di ruolo. Io però preferisco cambiare. In ogni ruolo c'è comunque qualcosa di me.

E interpretare Toto Riina ne Il capo dei capi quanto è stato difficoltoso?
Interpretare una persona che si è nascosta per anni mi ha reso complicato trovare i materiali su cui prepararmi. Sono andato a cercare negli archivi Rai, ho letto dei libri, ma l'immagine di quel contadino di mezza età appesantito che quasi non sapeva parlare l'italiano è passata al pubblico. Riina ha messo su una finzione, una trappola in cui molti sono caduti e l'opinione pubblica faticava a credere che quel contadino ignorante fosse in realtà il capo della mafia italiana e non solo. Lui aveva creato questa messa in scena per sfuggire alle maglie della giustizia e io cercato di restituire la sua complessa personalità nella fiction.

Quanto metti di te nei tuoi personaggi? Che limite poni all'immedesimazione?
Qualsiasi opera d'arte, anzi, qualsiasi lavoro racconta qualcosa dell'autore. Sta all'interprete decidere quanto infondere della propria personalità nel lavoro. A me piace scoprire qualcosa di nuovo di me recitando un altro ruolo.

Passiamo a un argomento più frivolo. Ultimamente hai recitato nella fiction Il tredicesimo apostolo. Perché il tuo personaggio, alla fine, abbandona la ragazza con cui potrebbe stare insieme e torna a fare il prete?
Ti ricordo che c'è una seconda stagione.

Quanto conta per te la dimensione spirituale? E' cambiata dopo aver recitato in questa pellicola?
Io non sono credente, ma ho un profondo rispetto per chi crede. Sono sicuro che sia una cosa importante per l'equilibrio personale.

Cosa pensi di Roberto Saviano?
Non voglio sminuire Saviano, ma ci sono tanti giornalisti d'inchiesta che provano a fare il proprio lavoro con grande difficoltà. Dal momento che in Italia, spesso, i giornali non raccontano la verità quando uno prova a fare il proprio mestiere viene trattato come un eroe.

Non hai mai avuto paura di risultare scomodo ai siciliani?
Non ho la presunzione di poter essere ritenuto scomodo. E' vero che alcuni membri della classe politica, in particolare Mastella e Cuffaro, hanno contestato la fiction Il capo dei capi dicendo che la Sicilia doveva diventare celebre per le arance e non per la mafia, ma io mi auguro che presto non si debba più parlare della mafia né fare serie sul tema. Anche i siciliani si sono stufati della mafia, sia nella fiction che nella realtà.

Eppure la criminalità organizzata esercita un certo fascino sugli spettatori. Basti pensare a opere come Il padrino e Scarface. Come si fa a evitare che il pubblico idolatri le figure negative?
Questo, secondo me, è un falso problema che è stato strumentalizzato da molti. Questi personaggi, in realtà, sono tipici del romanzo popolare dove viene messo in scena il bene e il male. Nei Promessi sposi Renzo è molto meno affascinante di Don Rodrigo. La nostra società tende a rimuovere gli esempi negativi, ma alla fine a dare la giusta lettura a una vicenda è il contesto.