Carmelo Chiaramonte: in viaggio con un 'cuciniere errante'

Il nostro incontro con lo chef siciliano - attualmente in onda su Gambero Rosso - che ci ha aperto le porte della sua cucina, fatta di sapori, codici, poesia e soprattutto ricerca.

Creativa, fuori dagli schemi, disinibita, persino sensuale ed introspettiva. Così può essere definita, schematizzando, La cucina di Carmelo Chiaramonte, chef siciliano attualmente in onda su Gambero Rosso con un programma "dedicato alle anime giovani che credono ancora al sorriso e al gioco". Con lui abbiamo parlato di tantissimi aspetti del suo lavoro, dai codici di cottura, e di come si arrivi a sentire la necessità di volerli mettere in discussione, della ricerca della materia prima per i suoi piatti che gli ha "soffiato aria sotto le scarpe" spingendolo a spostarsi continuamente, viaggiare e scoprire. Una ricerca continua che non guarda soltanto alla vita, ma anche oltre. Una lunga e interessante chiacchierata che ha toccato anche temi come l'unità d'Italia - rivisitata in chiave culinaria - e il cinema.

Carmelo, una cosa che mi ha colpito sono i contrasti che vengono fuori dai primi dettagli che si leggono su di te. Ti definisci un cuciniere errante, ma hai le radici che affondano nella tua terra, che è la Sicilia. Ami il caos e l'improvvisazione, ma sei anche un designer gastronomico (e tante altre cose!) e i tuoi piatti sembrano elaborazioni che seguono uno schema "grafico". Come fai a bilanciare queste due anime?
Forse può sembrare presuntuosa come idea ma quando "suono" la batteria di cucina credo che sia un fatto simile a quello che un Maestro di musica fa con la sua band. Tutto il binario è lo spartito musicale, come in cucina il ricettario. Su queste rotaie c'è il treno delle passioni, ogni pensiero è un passeggero che si sporge dal finestrino e guarda il paesaggio oppure lo sogna. E' così che nasce la contraddizione, il contrasto, il chiaroscuro o un piatto ricco di inquietudini.

La tua è una cucina che si basa su ingredienti sani e semplici, che acquisti nei mercati o dai contadini. Eppure è di contrasti particolarissimi, come ad esempio tonno e "peperonata di fragole", che io personalmente proverei, ma potrebbero suscitare qualche perplessità nei commensali (e telespettatori, in questo caso) meno "aperti". In che modo nascono questi contrasti così particolari, e cosa potrebbe convincere la gente a provarli?
Se i contrasti della cucina appaiono insoliti o curiosi, in verità c'è sotto un percorso preciso.
Per prima cosa nel corso degli anni riesci ad immagazzinare nella tua memoria olfattiva quanti più odori possibili. Poi un giorno (e questo può accadere ad un professionista come alle persone appassionate che cucinano in casa) succede che hai necessità di disinibirti dei codici di cottura tradizionali e ti spogli di tutto un vissuto fatto di certezze culinarie.
Ad esempio, il piatto della peperonata di fragole nasce per giocare tra il contrasto piacevole dell'acidità della fragola e il sapore grasso e affumicato dei peperoni.
Se molti non sono "aperti" a certe sfide del gusto è del tutto giustificabile, poiché il cibo è la cosa più intima che facciamo tutti i giorni e molti non vogliono mettere in discussione i propri piaceri della tavola. E devo aggiungere che questa è una realtà molto italica. Abbiamo delle radici olfattive molto rigide.

Il tuo sito ufficiale accoglie i navigatori con una frase che mi ha fatto sorridere, ovvero che sono i sensi di colpa, che fanno ingrassare. Come ce la spieghi questa?
Solo un modo per scherzarci sopra, anche se i sensi di colpa ci gonfiano le membra più del cibo stesso.

Come è nato il tuo interesse per la ricerca della genuinità negli alimenti che cucini, si deve alla tua curiosità da girovago, o altro?
Quando sei in cucina, man mano che giri il mestolo, ti accorgi che gli ospiti si agitano in modo musicale mentre assaggiano una pietanza in cui tu magari hai messo ben poco del tuo mestiere. E così ti domandi il perché. E allori giri il collo verso il frigo o la dispensa e ti accorgi che hai trovato un pomodoro dal sapore unico. La materia prima diventa colore come per il pittore e quindi la vai a cercare, la insegui, fino a sospettare le esistenze di tanti alimenti-archetipi. E viaggiare per me è sale e la materia mi ha soffiato aria sotto le scarpe.

Come è iniziato il tuo lungo viaggio da cuciniere errante? Quale è stata la prima tappa di questo percorso, e cosa ti ha convinto a proseguirlo?
Tutto nasce dal mio spirito costante che mi fa essere "disobbediente". Nella pratica quotidiana gli stipendi del mio settore non cambiano in meglio da 10 anni, anzi si abbassano. Non ho mai avuto voglia di aprire un posto mio e molti possono immaginare cosa possa significare volerlo fare in Sicilia. Così ho osservato la mia esperienza, ho spento la tivvù e ho ascoltato l'aria e il vento. Oggi rimanere immobili può voler dire che si ha voglia di coltivare dei progetti seri in un luogo stabile ma credo che sia la cosa essenziale del futuro rendersi mobile e non dipendere da una sola situazione. Ho cominciato da soli tre anni ad essere un cuoco viaggiatore, tutto è ancora da scoprire ma mi pare tutto molto, molto eccitante. Anche se viaggiare di continuo non è cosa da metabolismi semplici.

A chi si rivolge in modo particolare il tuo programma? A chi è aperta la "cucina televisiva" di Carmelo?
I racconti delle mie puntate sono rivolti a quelle anime giovani che credono ancora al sorriso e al gioco. A quelli che non amano la cucina cattedratica e che fanno l'amore senza badare troppo a dove finiscono i vestiti quanto stai già baciando la verità di una spiaggia. Non sono ricette facili da riprodurre e non ci sono nemmeno molti prodotti facili da trovare, però il mio pubblico sa leggere il piacere di fare una cucina che propone la disinibizione dai luoghi comuni e dalle ricette simmetriche.

In un piatto ideale che celebri i 150 anni dell'Unità d'Italia, quali ingredienti metteresti, tra quelli da te scoperti nei tuoi viaggi?
L'Unità d'Italia può fare intravedere subito coriandoli colorati, trombe e uomini e donne vincenti e gioiosi. Ma un evento così nasce da episodi che hanno un aroma preciso quanto antico, quindi non sarebbero i colori a guidarmi. Piuttosto alcuni sapori simbolici. Prendo uno dei vini più intensi del mondo, quindi il Marsala Solera Riserva 1860 De Bartoli. Un bicchierino evoca in bocca tabacco, cioccolato, frutta appassita, polvere da sparo e sapore di mare. Poi accosterei il sapore del sangue, quello dei martiri di questa Unità; e una materia che sa molto di ferro rosso è il fegatello, magari di rana pescatrice, passato sulla brace e affumicato. E infine l'oro. Il metallo dei re. Perciò il frumento, magari pagnotta calda o grissino o focaccia dorata cotti a legna.
I sapori che ci uniscono, in Italia, sono semplici, arcaici e noi dovremmo somigliare a loro nella semplicità come nella bontà.

L'ho chiesto anche a Matteo Tassi, che in questo periodo ti affianca nel palinsesto di Gambero Rosso (con un altro programma, Serial Griller) e sono curioso di saperlo anche da te: c'è qualche film che ti ha colpito particolarmente dal punto di vista "culinario", per una sequenza o la storia?
Come molti appassionati adoro la scena madre dal mitico C'era una volta in America; il bimbo che sceglie un pasticcino e che lo divora davanti alla porta di una ragazza. La sequenza delle due scene è splendida.
Ma il banchetto cannibale imbandito da Peter Greenaway nel suo Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante mi ha turbato non poco. Da un po' di tempo affronto la cucina con occhi nuovi e spesso mi nascondo dietro l'allegoria dei fenomeni umani attorno al gesto del mangiare. E sul cannibalismo, per esempio, sto facendo delle elucubrazioni culinarie che mi portano ai pani votivi dei morti, nei banchetti funebri siciliani e messicani.
Nelle mie puntate al Gambero ne ho riportato alla luce delle telecamere una parte della storia, con l'aiuto di un artista, Orazio Battaglia. La cucina è così bella che non trovi solo ispirazione dalla vita ma pure dal silenzio eterno.