Il dramma della Siria raccontato da una prospettiva italiana. Con Border, esordio a bassissimo budget, Alessio Cremonini ha deciso di ricostruire le campagne siriane nell'Italia del Sud per raccontare la terribile storia di due sorelle costrette a tentare la fuga in Turchia per sfuggire all'arresto. In Border ci sono tutte le fazioni che alimentano gli scontri nel paese: ci sono i ribelli, i governativi fedeli al regime, ci sono gli attivisti religiosi, le associazioni umanitarie e gli shabila, i mercenari pagati dal regime per compiere atti di violenza contro la popolazione. Un puzzle complicato contenuto in un film piccolo, una produzione italiana interpretaata da attori non professionisti che, senza fornire giudizi sulla situazione politica, tenta di offtire uno spaccato comprensibile anche a chi non conosce la realtà dei fatti.
Alessio, tu che hai a che vedere con questa storia?
Alessio Cremonini: Molto. L'Italia, in realtà, ha un legame molto stretto con la Siria. Damasco è a poche ore di volo da qui. Qualche papa era siriano, un certo San Paolo si è convertito sulla via di Damasco. E poi siamo entrambi popoli mediterranei e siccome noi italiani siamo i più vicini tra gli europei abbiamo il dovere di comprendere la situazione che vivono i popoli mediorientali per diffondere le notizie nel resto d'Europa.
Alessio Cremonini: Il mio non è un film politico, ma una storia vera. E' uno spaccato della Siria di oggi. Qui con noi a Roma ci sono solo le due interpreti femminili, ma manca il protagonista maschile, Wasim Abo Azan, perché grazie alla legge Bossi-Fini, dopo dieci anni di residenza in Italia, è stato costretto ad andarsene e ora ha chiesto asilo politico in Svezia.
Come hai conosciuto la storia delle sorelle Aya e Fatima?
Alessio Cremonini: Era da un po' che cercavo delle storie da raccontare sul tema. Da tempo frequento la comunità siriana. Degli amici mi hanno raccontato questa vicenda e, insieme alla sceneggiatrice Susan Dabbous, ci siamo messi al lavoro. Ho cercato di raccontare la storia nel mondo più puro possibile mantenendo inalterati gli eventi narrati.
In quanto italiano, ti sei potuto permettere di far vedere delle cose che i siriani non avrebbero potuto?
Alessio Cremonini: In Siria non si fa poi tanto cinema. Noi italiani abbiamo un cinema che racconta noi stessi per le generazioni future. In Siria questo non ha accade. Il nostro non è un film documentario, ma ha un valore documentario.
Dana Keilani: Io molte cose le ho approfondite dopo la guerra. I miei genitori vivevano in Italia, ma ora sono tornati a Damasco. E' stata una delusione scoprire cosa stava succedendo in Siria, perché noi siriani di politica non parliamo molto.
Sara El Debuch: E' stato bello conoscere Alessio e poter raccontare una storia che mostra agli italiani cosa stia accadendo adesso in Siria. E' vero che noi siriani molte cose non le sappiamo perciò è necessario approfondire e diffondere la verità.
Alessio, come hai scelto le due interpreti?
Alessio Cremonini: Sono stato molto fortunato perché non ho dovuto fare un vero casting. Grazie a Susan ho conosciuto tante persone e tra di loro ho scelto quelle più adatte affidandomi ai consigli della comunità siriana. Naturalmente nessuno degli attori è professionista. Anche per questo sono molto soddisfatto del risultato.
La comunità non aveva paura di veicolare un'idea sbagliata partecipando al film? Come si sono fidati di te?
Alessio Cremonini: I siriani oggi non hanno voce perciò, quando gli sono capitato io, hanno sfruttato l'occasione. Non so se hanno fatto bene o meno, ma il loro interesse è far conoscere la loro storia.
Vi siete sentiti responsabilizzati dal fatto di interpretare persone realmente esistite?
Sara El Debuch: Io mi sono sentita responsabile per il mio popolo. Non avevo mai recitato prima, ma ho cercato di provare gli stessi sentimenti delle persone coinvolte nella storia. Ho cercato di dare il massimo.
Alessio Cremonini: Border è un film piccolo, all'antica, fatto con pochi soldi. I fondi li abbiamo raccolti in soli quattro giorni, ma stiamo già ottenendo grandi risultati. Siamo stati a Toronto. Ora siamo a Roma. Il produttore, che è eccezionale, ha accettato la mia richiesta di non chiedere finanziamenti pubblici, ma alla fine ce l'abbiamo fatta raccogliendo fonti privati. Tra i finanziatori c'è anche Victoria Cabello.
Come mai non hai chiesto i fondi pubblici?
Alessio Cremonini: Lo Stato, quando dà del denaro pubblico, ci mette molto tempo e noi volevamo fare presto. C'è un'altra questione però. In questo momento in cui chiudono ospedali non mi sembrava giusto chiedere soldi per puntare su di me. Ero convinto che, se il mio progetto fosse stato valido, sarei riuscito comunque a farlo. Volevo esordire solo con le mie forze.
Dove è stato girato il film?
Alessio Cremonini: In Italia. Non ci sarebbe stato modo di girare in Siria. Oltre a mancare i soldi, c'erano problemi di sicurezza.
Dana Keilani: Le due sorelle del film indossano il velo. Sono persone vere che avevano fatto questa scelta, ma l'immagine che emerge dalla loro storia dimostra che anche le persone che fanno scelte religiose di un certo tipo non sono estremiste.
In Italia la Siria è nota solo attraverso la propaganda. Per voi siriani cosa significa partecipare a un film non propagandistico sul vostro paese?
Sara El Debuch: Ne sono stata felice, ma al tempo stesso ero triste perché mi ero immedesimata molto in Fatima e nelle donne che hanno vissuto le sue stesse esperienze.
Dana Keilani: Quando abbiamo girato il film era un momento molto difficile. Da poco avevo scoperto che la casa in cui avevo passato tutte le estati era stata bombardata. Ho scoperto che alcuni parenti erano morti e l'ho scoperto con Facebook. I miei genitori mi raccontano che in Siria è normale andare a fare la spesa mentre le bombe ti volano sopra la testa. Noi siriani che viviamo in Italia siamo molto fortunati, ma non è facile pensare a quello che sta accadendo nel nostro paese.