Quo Vado? Cosa significa il titolo del film di Checco Zalone?

Quo vado? di Checco Zalone riprende in modo ironico la frase latina Quo Vadis? che ha dietro una lunga storia: ecco cosa significa.

Quo vado? è stato il film che ha consacrato Checco Zalone come re del botteghino italiano con oltre 65 milioni di euro e quasi 10 milioni di spettatori nell'annata 2015/2016. Per chi ha studiato un po' di latino, il titolo del film significa "dove vado" e fa riferimento in modo beffardo ad una frase molto simile che però, diversamente dalle avventure dell'alter ego interpretato da Luca Medici, ha avuto delle conseguenze molto più gravose del cambiare ripetutamente il posto di lavoro. La locuzione originale è infatti Quo vadis? e molti sicuramente la ricorderanno perché è alla base non solo di un libro di successo ma anche di una serie di film omonimi che sono diventati dei veri e propri classici del peplum o, per dirla all'italiana, dei "sandaloni" cioè i film ambientati nel mondo greco e romano.

Quo vado?: Checco Zalone in una scena del film
Quo vado?: Checco Zalone in una scena del film

Passare da Quo Vadis? a Quo Vado? significa veramente fare un vero viaggio nel tempo in cui si intrecciano la filologia, la storia del cristianesimo e il cinema di genere. Alla base c'è un episodio contenuto all'interno degli Atti di Pietro, uno dei tanti testi non canonici, detti apocrifi, relativi al Nuovo Testamento in cui si racconta che all'apostolo Pietro, durante la sua fuga dalla persecuzione di Nerone, apparve Gesù che camminava sulla via Appia in direzione opposta alla sua. Pietro gli avrebbe perciò chiesto dove era diretto e Gesù gli avrebbe ribattuto che andava verso Roma per farsi nuovamente crocifiggere. Il papiro degli Atti di Pietro risale alla seconda metà del II secolo dopo Cristo ed è stato scritto in greco da un certo Leucio Carino, un discepolo dell'apostolo Giovanni, che avrebbe composto anche altri apocrifi che vanno a comporre il ciclo leuciano - Atti di Pietro, Giovanni, Andrea, Tommaso e Paolo - tutti della stessa epoca. L'autore con ogni probabilità però non è mai esistito e il testo si caratterizza oltretutto per avere toni decisamente favolistici che mal di accordano con una narrazione accettabile con i dettami della Chiesa cattolica. Tra le parti arrivate integre ci sono infatti i miracoli di San Pietro in cui spicca un epico duello tra lui e Simon Mago. Quest'ultimo era uno dei primi santoni truffaldini di cui si ha menzione anche in un'opera ufficiale come gli Atti degli apostoli, in cui lo vediamo intento a comprare, invano, da Pietro il potere dello Spirito Santo. Il termine di 'simonia', cioè il commercio di cose sacre, deriva proprio dalla storpiatura del suo nome.

La locandina di Quo Vadis?
La locandina di Quo Vadis?

Fu poi grazie a Padri della Chiesa come Ambrogio e Origine che questa storia arrivò in occidente nella forma che conosciamo, con il famoso dialogo che dà origine alla locuzione. Pietro si rivolge a Gesù: "Domine, quo vadis?", ovvero "Signore, dove vai?" e lui risponde: "Eo Romam iterum crucifigi", ossia "Vado a Roma a farmi crocifiggere una seconda volta"; al che l'apostolo sarebbe tornato indietro sui suoi passi, andando incontro al destino fatale. La tradizione di età medievale ha in seguito colorito ulteriormente questa vicenda, evidenziando come Gesù abbia addirittura anche lasciato le impronte dei suoi piedi in una lastra di marmo, come segno indelebile di questo evento. Ed è proprio per custodire questa presunta reliquia che intorno al IX secolo sorgerà il primo nucleo di quella che oggi è nota come la chiesa di Domine Quo Vadis a Roma. Oggi l'edificio è molto diverso rispetto alle origini ed è frutto di una ricostruzione avvenuta nel 1637 in seguito ad un violento nubifragio che l'aveva letteralmente raso al suolo. Dai documenti, il più antico è una bolla papale di Gregorio VII del 1° marzo 1081, si rileva che la chiesa cambiò nome più volte e che era meta di continui pellegrinaggi proprio per via di questa impronta dei piedi di Cristo. Uno dei visitatori più illustri fu nientemeno che Petrarca, il quale scrive nel 1336 una lettera al suo amico vescovo Giacomo Colonna in cui si dice entusiasta all'idea di poter vedere finalmente questa particolare reliquia. Ora, l'impronta nella chiesa c'è, anche se è la copia dell'originale, oggi conservata nella basilica di San Sebastiano, ma ha ben poco di cristiano o sovrannaturale. E' un ex voto pagano per il dio del ritorno Redicolo, offerto da un uomo in procinto di partire o di rientro da un viaggio presumibilmente lungo. La cosa particolare è lunghezza delle impronte, circa 27,5 cm, che corrisponde a un numero di calzature pari ad al 44/45, decisamente notevole per noi, figuriamoci all'epoca, dove saranno state viste perciò come un qualcosa di straordinario, fuori scala, divine.

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In tempi più recenti sarà però lo scrittore polacco premio Nobel Henryk Sienkiewicz a dare ulteriore fortuna a questa frase che diventò il titolo del suo romanzo più noto. Ambientato durante gli anni imperatore Nerone, ha al centro la storia d'amore tra la schiava cristiana Licia e il tribuno Marco Vinicio e culmina proprio durante la persecuzione dei cristiani e la morte di Pietro. Il successo del libro fu travolgente, così come lo furono anche le trasposizioni cinematografiche: ben cinque. Tre sono del periodo del muto, la prima del 1901, a pochissimi anni dalla pubblicazione del romanzo nel 1896, poi 1913 e infine 1924, diretta a quattro mani da Gabriellino D'Annunzio, figlio del ben più famoso Gabriele, e Georg Jacoby. Ma tutti sicuramente ricordano la versione del 1951 di Mervyn LeRoy con Deborah Kerr, Robert Taylor e un gigionesco e irresistibile Peter Ustinov nei panni di Nerone, che proprio per questo ruolo fu anche candidato all'Oscar. Il film segnò l'inizio della Hollywood sul Tevere, del periodo d'oro di Cinecittà e dei peplum, culminato con Ben-Hur e chiuso dalla mastodontica Cleopatra con Elizabeth Taylor.

Poi nel 1985 la Rai sviluppò una miniserie affidata a Franco Rossi e infine nel 2001 è stata la volta di un remake polacco affidato a Jerzy Kawalerowicz, inedito in Italia ma il più aderente sino ad ora all'opera di Sienkiewicz. Il pubblico italiano ha visto giusto alcune scene perché sono state utilizzate da Alberto Angela in una delle puntate di Ulisse il Piacere della Scoperta.

Tornando a Checco Zalone, l'attore ha spiegato in un'intervista a TV Sorrisi e Canzoni come mai ha intitolato il film Quo Vado? "Mi hanno già fermato in ottomila chiedendomi cosa voleva dire Quo vado?. Magari il prossimo lo chiamo "Amen" - ha scherzato - "Una mattina ero al supermercato, ho chiamato il mio regista e gli ho chiesto: "Dove vado?" e poi insistevo: "Ma dove vado?". È venuto così. I titoli devono essere brevi ed evocativi. È un film sul viaggio, un "on the road", e "Quo vado?" poteva essere carino"