Recensione Fino a farti male (2003)

Un film interessante, sicuramente coraggioso per il modo in cui affronta (per sottrazione, potremmo dire) temi non nuovi per il nostro cinema come la crisi di coppia e il tradimento.

Una torbida realtà svelata

Opera seconda di Alessandro Colizzi (uscito ben cinque anni dopo il precedente L'ospite, datato 1999), questo Fino a farti male colpisce non tanto per il tema trattato (quello del tradimento è un argomento usato e, potremmo dire, persino abusato dal cinema italiano) e neanche per la storia d'amore omosessuale che è al centro della vicenda (anche questo tabù è stato almeno apparentemente superato dalla nostra produzione cinematografica più recente), quanto piuttosto per l'atmosfera torbida e ambigua che vi si respira. Un modo sicuramente originale, almeno per il cinema italiano, di narrare una vicenda tutto sommato convenzionale, che può spiazzare ma a cui va sicuramente riconosciuta una buona dose di coraggio.
Il film narra la storia di Marc, produttore discografico sposato con Martina, che si reca a Sophia per la firma del contratto di una nota cantante lirica. Tornato a casa prima del previsto, l'uomo scopre in casa sua una realtà del tutto sconosciuta: sua moglie ha lasciato il lavoro da oltre due mesi, ha una relazione con una donna, e inoltre sta meditando il suicidio. Restando nascosto, Marc pedina la moglie, arriva all'abitazione dove le due donne si incontravano, cerca di venire a capo del baratro che gli si è improvvisamente spalancato davanti. Non sarà facile, perché Martina, anche se sollecitata, continua a mentire e a non voler accettare sé stessa e la realtà.

Il film ha una forte carica di ambiguità, si diceva; oltre a questo, c'è da aggiungere che ha un carattere fortemente enigmatico, con una serie di personaggi e di situazioni che vengono presentati ma non spiegati con gli espedienti narrativi classici. Non sappiamo molto del background dei protagonisti, oscure ci restano le dinamiche che hanno portato alla situazione attuale fra i due coniugi, oscure le motivazioni della donna; questa enigmaticità, questo non spiegare, è una precisa scelta narrativa del film, che ne accresce in certo qual modo il fascino. Quello che sappiamo è soltanto che c'è una situazione di forte incomunicabilità nella coppia, unita ad un velo di falsità da spot pubblicitario (ben rappresentato dalla sequenza iniziale, in cui viene mostrata una serenità di facciata subito smentita), della cui portata entrambi si rendono conto solo quando le contingenze li spingono ad affrontarla, insieme. E il fronteggiare questa situazione sarà faticoso, doloroso, quasi una tortura, sia per chi ha scoperto questa "realtà sommersa", sia per chi ora è costretto a portarla a galla.

Il ritmo del film è lento, l'atmosfera rarefatta, quasi ipnotica; nel particolare mood che il regista ha voluto creare per questa storia di pulsioni e sentimenti, parte del compito è svolto da una colonna sonora ricca di composizioni elettroniche, e da una "densa", cupa fotografia. Complessivamente bene funzionano anche gli attori, da un bravo ed enigmatico Christopher Buchholz alle intense Agnese Nano e Karin Giegerich, che offrono buone performance in due ruoli sicuramente non semplici.

Un film interessante, quindi, sicuramente coraggioso per il modo in cui affronta (per sottrazione, potremmo dire) temi non nuovi come la crisi di coppia e il tradimento: un modo speculare a quello che, negli ultimi anni, ha fatto la fortuna di un regista come Gabriele Muccino, con i silenzi al posto delle urla, le pause al posto delle accelerazioni di regia. Un modo di narrare che forse non farà particolari fortune al botteghino, ma che comunque, in questo caso, ci ha portato un prodotto intelligente e di spessore.

Movieplayer.it

3.0/5