Recensione Welcome To Collinwood (2002)

La ditta Soderbergh-Clooney continua a sfornare prodotti a ripetizione: è il caso di Welcome to Collinwood, remake del nostro glorioso I soliti ignoti.

Un remake senza cuore

La ditta Soderbergh-Clooney continua a sfornare prodotti a ripetizione, ma ovviamente, di fronte a un'attività così quantitativamente rilevante, non tutte le ciambelle riescono col buco. E' il caso di Welcome to Collinwood, remake del nostro glorioso I soliti ignoti.

La trama ricalca quasi perfettamente il celebre film di Monicelli. Qui però siamo a Collinwood, un quartiere operaio alla periferia di Cleveland: Cosimo (Luis Guzmàn), un ladruncolo di periferia, finisce in cella con un ergastolano che gli rivela il piano per un colpo perfetto, un cosidetto "Bellini" con il quale risolvere la vita, e quindi ha bisogno di qualcuno disposto ad accollarsi la sua condanna in cambio di 15.000 dollari; ma rimane bloccato in carcere e tocca dunque alla sua ragazza, Rosalind (Patricia Clarkson), cercare qualcuno che lo sostituisca. In breve tempo Rosalind forma uno scombussolato team di cinque "disperati", ansiosi di mettere le mani sul malloppo: il pugile Pero (Sam Rockwell), Riley (William H. Macy) fotografo e pittore mancato, Leon (Isaiah Washington), Basil (Andrew Davoli) e Toto (Michael Jeter, il Delacroix de Il miglio verde recentemente scomparso). I cinque andranno a lezione da Jerzy (George Clooney), esperto scassinatore costretto sulla sedia a rotelle.

Per confezionare il tutto, il team Soderbergh-Clooney ha affidato la regia a Anthony Russo e Joe Russo, che svolgono il loro compitino senza infamia e senza lode. E' un fatto però che il film non riesce mai a decollare e a raggiungere le vette graffianti della commedia all'italiana, genere per il quale la vicenda era tagliata su misura grazie alle doti di Gasmann, Mastroianni e compagnia.
Qua e là, va riconosciuto, spuntano battute e gag molto divertenti, ma oltre a strappare saltuariamente qualche risata il film di più non fa, restando così sinistramente parente di tante pellicole comiche senza cuore e senza smalto, e lasciando un senso di anonimo che fa ben presto dimenticare l'opera di diligente scopiazzatura. Un pizzico di fastidio in più lo regala anche il doppiaggio, grazie al quale sentiamo Luis Guzman parlare come Johnny Stecchino, un aspetto che dopo un po' diventa davvero insopportabile. Alcuni attori se la cavano comunque egregiamente: Sam Rockwell si conferma "squilibrato" di grande valore, William H. Macy è sempre perfetto, e anche il cameo che Clooney si ritaglia nelle vesti del nostro Totò alla fine risulta piacevole, a patto però di dimenticare proprio Totò, che in effetti era un'altra cosa. Come del resto il film originale.

Movieplayer.it

2.0/5