Recensione La spettatrice (2003)

Il film racconta la difficile ed indigesta storia di una ragazza che rinuncia a se stessa, preferendo vivere da testimone silenziosa di una vita che le scorre davanti come un film di cui non è mai protagonista.

Un film poco parlato

Un buon esordio quello di Paolo Franchi alla regia di un piccolo film sull'asse Torino-Roma tra aspettative deluse e desideri congelati.
Premiato al Bergamo Film Meeting e selezionato per il Tribeca Festival di New York, manifestazione cinematografica indipendente voluta da Robert De Niro, La spettatrice risulta convincente nonostante racconti la difficile ed indigesta storia di una ragazza che rinuncia a se stessa, preferendo vivere da testimone silenziosa di una vita che le scorre davanti come un film di cui non è mai protagonista.

La giovane ed introversa Valeria, traduttrice simultanea, s'innamora del suo vicino di casa spiandolo dal buio della finestra di fronte. Quando un giorno Massimo, professore universitario, si trasferisce a Roma, Valeria decide di seguirlo insinuandosi in punta di piedi nella sua vita attraverso la disponibile compagna, Flavia, di cui diventa amica e collaboratrice. Nonostante l'occasione, Valeria continuerà a vivere il suo amore nell'ombra.

Il delicato tocco di Franchi sfiora i fragili equilibri di una ragazza sola ed incapace di comunicare. Valeria vive un'esistenza decentrata guardando da un angolo, al buio, in silenzio, la vita degli altri. I suoi grandi occhi chiari osservano senza essere visti confondendosi tra la folla. La bravissima Barbara Bobulova dà vita ad un personaggio complesso, calandosi con sofferta partecipazione nei panni di una ragazza incapace di costruire la propria felicità. Valeria parla poco, arrossisce, abbassa gli occhi, malcelando la volontà di stare ai margini, di non partecipare, anche quando la felicità è a portata di mano. Difficile è identificarsi nell'ostinata e patologica chiusura di Valeria che preferisce la solitudine di chi assiste ma non interviene, di chi interpreta ma non dialoga. La passività dello spettatore cha mantiene la distanza con l'attore appartiene però non solo alla protagonista, ma anche agli altri due ottimi interpreti. Alla fredda Flavia, Brigitte Catillon, che lascia scivolare dalle proprie mani, abituate a gestire ogni situazione, il rapporto con Massimo, assistendo impassibile e distaccata al naufragio di un amore. E all'oggetto del desiderio, Massimo, Andrea Renzi, che da guardato diventa guardante riappropriandosi di quello sguardo che scruta dietro il vetro del bar di fronte.

La spettatrice è un gioco di specchi che si riflettono l'uno con l'altro senza incontrarsi, mantenendo quella distanza incolmabile che è l'incomunicabilità senza possibilità di risoluzione.
È un film ben scritto e ben recitato che colpisce nel segno con la disarmante semplicità e naturalezza dei silenzi, che a volte raccontano più delle parole.