Recensione Sangue - La morte non esiste (2005)

Sangue è un guazzabuglio di idee più o meno riuscite, un'opera scomoda su argomenti tabù che non trovano quasi mai voce nei circuiti tradizionali che ha il merito di parlare un linguaggio altro rispetto al solito.

Spara Iuri

Un ragazzo magro magro, trincerato in un monolocale sporco a consumare e spacciare droga, tra la lettura di un libro e l'altro, disgustato da una società che si incunea nella sua vita attraverso la televisione, per raccontargli che fuori, nel mondo reale, gli adolescenti si ammazzano per i brutti voti a scuola e i padri, un istante dopo, li seguono sotto terra per zittire i sensi di colpa. Una ragazza con le guance paffutelle, che biascica un fiume di parole ed è preda di continue crisi d'asma, sul punto di abbandonare tutto per salire su un aereo, all'inseguimento di un sogno con le scarpette da danza. Sono Iuri e Stella, i due protagonisti di Sangue - La morte non esiste, due fratelli perdutamente innamorati l'uno dell'altra, che si cercano, si graffiano, si fondono insieme in una cosa sola, intontiti dalla droga e dal profumo del sangue che macchia i loro corpi dopo uno scontro ravvicinato con un armadio o un incidente d'auto. Libero De Rienzo, l'attore di Santa Maradona e A/R Andata + Ritorno, il ragazzetto sfrontato che introduceva con egoismo l'adolescente di A mia sorella nel mondo del sesso, si getta anima e sangue nel sogno della prima regia, in un film di cui è anche sceneggiatore, interprete (in un cammeo che è tra i momenti più divertenti della pellicola) e, caso più unico che raro, montatore, e che risente dei pregi e dei difetti di quella carica entusiasta, esagerata e scombinata di un esordiente, divoratore d'arte. Film che è Sangue del sangue del suo autore e, quindi, prima di tutto, un atto d'amore verso l'arte a tutto tondo, quella senza compromessi, vigorosa, appassionata, un calderone di cinema, pittura, danza, letteratura, fotografia, musica che vuole essere espressione di quei disadattati, anti-eroi, emarginati che sono contro, fuori dal coro.

La gioventù bruciante dei personaggi di De Rienzo è lontanissima dai manifesti generazionali che approdano sempre più spesso oggi al cinema, è un popolo zingaro e sotterraneo che trascorre il proprio tempo imbottendosi delle droghe più strane (il film ne offre un vasto campionario) e non si riconosce in quella società di massa che criticano sotto ogni suo aspetto, ma che non contribuiscono di certo a rendere migliore. La loro è una retorica consapevole (Stella, infatti, è sempre pronta a bollare in tal senso tutte le grandi verità del fratello) e destinata al fallimento. Sarebbe, quindi, più giusto definire questa una gioventù già bruciata, ma i germi creativi e pulsionali dentro di loro valgono da soli un'esistenza. Il film segue una giornata della coppia incestuosa, Stella e Iuri, prima messi a nudo nel loro universo privato e poi al contatto col mondo, nello scontro con altri (assurdi) esseri umani e con quella società che tanto detestano. Tutto il racconto è dominato da un sentimento diffuso di paura, una paura che paralizza le nuove generazioni, che viene usata dalla Chiesa per ricattare i fedeli, che fa evitare il confronto col "diverso" e fa abbattere i manganelli della polizia sui corpi di ragazzi senza colpe. De Rienzo ce l'ha con tutte le istituzioni, le autorità, apre gli armadi della Chiesa per mostrare gli scheletri vestiti come Mussolini tenuti con cura dentro di essi, ridicolizza ognuno dei suoi personaggi sottolineandone in modo gelido le loro fragilità, ma alla fine ha l'accortezza di chiudere con un botto, il colpo di pistola che il suo alter-ego Iuri si regala, la sua filippica a forte rischio presunzione, anche se poi non resta altro che cenere di una sceneggiatura fragilissima.

Il film si apre con un bianco accecante, che lampeggia impazzito sulla retina degli occhi dello spettatore, e si chiude con un nero pesto, dopo il bang di una pistola che termina un'invettiva delirante. Nel mezzo i tre atti di cui si compone Sangue, esperimento bislacco, ma interessante e non convenzionale, rispetto allo standard del cinema italiano, soprattutto dal punto di vista espressivo, costruito con uno stile visivo diverso per ciascuna sezione. La prima parte (i flashback sui quali si stende la voce di Stella a raccontare di sé e di suo fratello) è caratterizzata da un montaggio iperattivo, fatto di contrazioni e dilatazioni, di chiara derivazione videoclippara (un nome su tutti quello di Chris Cunningham), e suggestionato da certo cinema Alternativo, con la "a" più o meno maiuscola, sulla "teen-apocalypse" (Araki, Aronofsky, Akerlund, ma anche Boyle), una regia dominata quasi totalmente da primissimi piani e dettagli, pellicola sgranata e immagini fuori fuoco. Nella seconda parte, Iuri-centrica, il ritmo rallenta progressivamente, la camera comincia ad allontanarsi dai corpi, si filosofeggia senza prendersi troppo sul serio (un esilarante De Rienzo nel ruolo di uno spagnolo che rivela a Iuri il segreto per sconfiggere la paura: tagliare la gola al bambino che è dentro di lui) e il discorso vira, infine, sul politico, con l'irruzione della polizia al rave, il pestaggio, e l'inseguimento. Nel frattempo il regista trova anche il tempo di omaggiare Antonioni con un campo lungo sulle coppie addormentate dopo il rave, che fa tornare subito alla mente quello sugli amanti nella Valle della Morte di Zabriskie Point. La parte conclusiva è una divertente, quanto surreale, macro-gag, un'incursione nel demenziale prima del tragico epilogo, che segue il lungo monologo sul senso assurdo del religioso e sulla Paura da parte di Iuri, improvvisatosi prete in una chiesa popolata da una piccola folla di persone che è lì per assistere al funerale di due suicidi (il padre e figlia di cui sopra), ma si ritrova a far tutto quello che viene ordinato loro dal finto prete, prima di essere drogati e regredire allo stato di scimmie.

Sangue è un guazzabuglio di idee più o meno riuscite, un'opera scomoda su argomenti tabù che non trovano quasi mai voce nei circuiti tradizionali, un cinema fatto essenzialmente di immagini, di respiri, anche di grandi ingenuità, ma che ha il merito di parlare un linguaggio altro rispetto al solito, che si fa notare anche solo per l'ottimo commento musicale, affidato agli imperatori del post-rock italiano, i Giardini di Mirò, e per un interprete validissimo quale Elio Germano, un film coraggioso perché è riuscito a trovare una produzione e una distribuzione nonostante la sua architettura fastidiosa, disturbante, fortemente diversificata rispetto alla norma. E' una vergogna che un lavoro del genere, brutto o bello che sia, sincero o fasullo a seconda di come lo si voglia leggere, ma sicuramente lontanissimo dall'estetica televisiva che ci riversano in quantità astronomica ogni anno nelle sale, sia praticamente ammazzato in partenza da una distribuzione inadeguata, che gli concede solo otto sale in tutto il paese. Iuri alleva zanzare, le nutre col sangue che scorre nelle sue braccia e le difende contro chi vuole schiacciarle. De Rienzo si offre allo spettatore che vuole succhiare un cinema dal sapore nuovo, magari poco digeribile, ma che in fondo non può fare poi tanto male.