Recensione The dreamers - I sognatori (2002)

Sarebbe ingiusto e riduttivo ridurre The Dreamers ad un compendio di tematiche bertolucciane. Ci troviamo infatti di fronte ad un film che le comprende e le supera: una storia di struggente bellezza e ricca di riferimenti storici, politici e cinematografici.

Sogni di cinema, sogni di vita

Parigi, 1968. Matthew, un giovane americano che studia nella capitale francese viene contagiato dal virus della cinefilia, e trascorre le sue giornate a vedere i grandi classici e le innovazioni della Nouvelle Vague alla Cinématèque Française. Un giorno Matthew trova la Cinématèque chiusa, e davanti all'ingresso un sit in di protesta contro l'allontanamento del direttore Langlois - uno dei momenti chiave della nascita del movimento parigino. È lì che il ragazzo conosce la bellissima Isabelle - da cui sarà immediatamente attratto - ed il suo gemello Theo: con loro Matthew stringerà subito un forte legame d'amicizia e, complice l'assenza dei genitori di Isa e Theo, si trasferirà in casa loro. Matthew scoprirà il morboso, quasi incestuoso rapporto che lega i due fratelli, ma invece di rimanerne escluso ne entrerà lentamente a far parte. Mentre nelle strade di Parigi s'infiamma il movimento, i tre ragazzi - barricati nell'appartamento - si abbandoneranno ad un vortice di intellettualismi, erotismo, sensualità, condivisione, fino ai limiti più estremi.

Intenso, coinvolgente, emotivamente struggente e "faticoso", quest'ultimo film di Bernardo Bertolucci è stato da molti paragonato ad altre opere del regista italiano come Ultimo tango a Parigi (per la sua dimensione sessuale e di "segregazione"), Io ballo da sola (ancora una volta per la scoperta della sessualità) e persino Novecento (per la sua dimensione storica e politica). Ebbene, se molte delle analogie appena citate sono sicuramente innegabili, sarebbe ingiusto, riduttivo, svilente ridurre The Dreamers ad un compendio di tematiche bertolucciane. Ci troviamo infatti di fronte ad un film che le comprende e le supera, raccontando una storia di struggente bellezza e costellandola di riferimenti storici, politici e cinematografici di ogni tipo.
Interpretato con sorprendente intensità e naturalezza da tre giovanissimi attori - l'americano Michael Pitt ed i francesi Eva Green e Louis Garrel - che sul set si sono dovuti mettere completamente a nudo davanti al regista e al pubblico, metaforicamente e fisicamente, da ogni punto di vista, The Dreamers parte con una progressione tanto violenta quanto esaltante. Quella della scoperta di una personalissima libertà da parte del terzetto di amici: libertà dalla famiglia, dalla società, dalla scuola, dalle regole borghesi che regolano i rapporti sociali e la sessualità; una progressione travolgente, che porta i tre ad incredibili livelli di vicinanza fisica e psicologica. Bertolucci racconta questa progressione, quest'esperienza, con uno stile registico impeccabile e travolgente, modernissimo e al tempo stesso tanto debitore del cinema proiettato alla Cinématèque in quegli anni da alternare nel montaggio del film spezzoni di quelle pellicole e le azioni dei suoi protagonisti, che ricalcano fedelmente quelle sequenze, intrappolando lo spettatore in un turbinio di immagini e suggestioni cinematografiche di altissimo livello.

L'esplosione libertà e di entusiasmo vissuta dai protagonisti di The Dreamers subisce una battuta d'arresto quando Matthew inizia a percepire i limiti, la claustrofobia, la paura di crescere e di affrontare il mondo nascosti nel loro esclusivo rapporto. Limiti che cerca di rompere spingendo Isa ad emanciparsi da Theo, e aprendosi agli stimoli del mondo esterno. Ed in un certo senso è proprio qui che anche il film stesso sembra riconoscere e fare i conti con i propri limiti, che non sono assolutamente forti e rilevanti come quello del rapporto tra i protagonisti, ma che comunque esistono.
Il ritmo della narrazione si fa più lento e nervoso, e questo porta lo spettatore a "risvegliarsi" dal torpore onirico indotto dalle vicende precedenti e dallo stile travolgente con il quale erano raccontate e a porsi interrogativi simili a quelli che si pone Matthew sullo schermo. Bertolucci ha volontariamente posto l'accento sulla dimensione intima e personale delle vicende del film, ma come i suoi protagonisti ha girato le spalle al resto del mondo, al movimento, alla politica, al '68, un '68 che però non si lascia dimenticare e come uno spiffero fastidioso entra nella casa, nelle vicende dei ragazzi, nel film tutto.
In questa contraddizione, nel voler mostrare sullo sfondo - ma in fondo poi non troppo sullo sfondo - la storia e la politica per poi non affrontarle compiutamente risiede forse il più grande limite del film; nell'indecisione tra il raccontare un periodo e il non farlo fino in fondo, nel mostrare le passioni politiche e nell'incertezza avuta nel farle seguire da atti concreti.
Parallelamente a tutto questo, ci si rende conto di quanto la ricerca, l'esperienza della libertà "antiborghese" dei protagonisti corra il rischio di diventare una posa sterile ed estetizzante, ancor più borghese - e con essa il film tutto. Ma a scongiurare questo rischio dal punto di vista cinematografico c'è una grande regia di Bertolucci, che non commette mai, nemmeno per un attimo, l'errore di cadere nel compiacimento o (peggio) del voyeurismo. In sostanza l'impressione che si ha è che il regista è stato cosciente e consapevole di quelli che potevano essere i limiti o i difetti imputabili al suo film e che li abbia non eliminati ma intellettualizzati e sfruttati a piacimento.

E quindi, così come le contraddizioni incarnate e vissute dai protagonisti del film - che possono essere lette come metafora di tutta una stagione e di una generazione, sia dal punto di vista esistenziale che politico - li rendono ancora più affascinanti, più umani ai nostri occhi, così le contraddizioni e le (poche) incertezze del film lo rendono più complesso, stimolante da più punti di vista, attaccando la nostra coscienza e la nostra emotività a molteplici livelli. In una parola, rendono il film un'esperienza cinematografica ancora più coinvolgente ed esaltante, che va maturata e riflettuta, come un buon vino, per essere goduta appieno.
Una notazione finale la merita la splendida colonna sonora, rispecchia il meglio di quegli anni - dai Doors ai Rolling Stones, da Janis Joplin a Bob Dylan, da Françoise Hardy a Michel Polnareff - splendido contrappunto musicale alle bellissime immagini regalateci da Bertolucci.