Recensione L'arte del sogno (2005)

Le stanze che i personaggi abitano e attraversano sono piene di vita, e i paesaggi dell'immaginazione come le oppressive mura della realtà riflettono la delicata Babele creativa che risiede nell'interessantissima testa di Michel Gondry.

Sogni di cartapesta

Capita che si viaggi in treno e che, per una volta, si lasci vagare lo sguardo dal romanzo di turno (c'è sempre meno tempo per leggere!) verso il mondo là fuori, e capita che ci sia un albero imponente e suggestivo che svetta nell'aria tiepida di questo strano inverno. Capita che il tempo che il viaggio regala alla mente indaffarata produca un sogno piccolissimo, magari lungo un giorno, un unico giorno luminoso in cui disegnare un albero, o magari modellarlo, scolpirlo, imbastirlo, catturarlo e portarlo a casa. E poi capita che subito dopo ci s'imbatta in questo film, la rappresentazione perfetta e ispiratrice dell'esigenza di creare che un momento di calma ha risvegliato.

Michel Gondry non disegna alberi, ma intere foreste, e con L'arte del sogno - la storia del giovane Stéphane, aspirante illustratore appena trasferito dal Messico in Francia che s'innamora della sua vicina di casa - spalanca la porta sulla sua vita onirica e sul dramma di un sognatore sospeso tra due mondi, che cerca di incontrare a metà strada la sua anima gemella. Ma le vie del sogno sono vaste e intricate, piene di trappole, fraintendimenti, insicurezze, e, se è facile sfiorarsi e proiettare i propri desideri l'uno sull'altro, non è semplice trovarsi per davvero. Il film è semplicemente questo, uno scorcio tra sogno e ricordo realizzato con scrupolosa, innamorata maestria artigiana, dai fondali di cartapesta agli animali di pezza; le stanze che i personaggi abitano e attraversano sono piene di vita, e i paesaggi dell'immaginazione come le oppressive mura della realtà riflettono la delicata Babele creativa che risiede nell'interessantissima testa di Michel Gondry.

Al servizio di questo materico, vitale onirismo c'è un onesto e accattivante Gael Garcia Bernal, e una stralunata e tenera Charlotte Gainsbourg, che non sono Jim Carrey e Kate Winslet, come L'arte del sogno non è Eternal Sushine of the Spotless Mind. Non ha la stessa solidità narrativa né la portata emozionale che la sceneggiatura di Charlie Kaufman assicurava alla pellicola del 2004, ma è un film che intrattiene e sorprende a ogni piè sospinto, senza poi rispedirci semplicemente a sbrigare le grane quotidiane, ma inducendosi a fermarci, a sporcarci le mani con i nostri sogni, per dar forma alle nostre fantasie, e tornare a vedere la realtà veramente a tre dimensioni.

Movieplayer.it

3.0/5