Recensione Il volo della fenice (2004)

Le sequenze aeree iniziali del C-119 in volo sopra il deserto sono di una bellezza da levare il fiato, ma non ripagano da sole del prezzo del biglietto.

Se il fai da te ti salva la vita

Un gruppo di sopravvissuti a un disastro aereo si trova senza mezzi di trasporto nel deserto del Gobi e non ha alcuna possibilità di essere raggiunto dalle squadre di soccorso. In un ambiente ostile, con le risorse che via via si esauriscono e il pericolo di essere attaccati da una banda di predoni del deserto, i sopravvissuti si rendono conto che la sola speranza di salvezza consiste nel fare l'impossibile: costruire un nuovo aeroplano utilizzando i rottami del loro velivolo e fuggire in volo. A guidarli nell'impresa un misterioso figuro, Elliott, di cui tutti ignorano la provenienza, ma che ha l'aria di saperla lunga.

Il tema della piccola comunità di individui che - sottoposta a una situazione di enorme stress fisico e mentale - cade vittima dei propri isterismi e dà sfogo a tutte le tensioni interne è ben collaudato. L'immenso deserto fa da sfondo a questo psicodramma collettivo: offre lo spunto per una serie di potenti reazioni emotive legate al senso di smarrimento e costituisce uno scenario di impagabile efficacia per la lotta e le sofferenze degli sfortunati passeggeri.

Questo remake del bel film dell'indimenticato Robert Aldrich porta la firma, tra gli altri, del figlio William che ne è il produttore (aveva anche partecipato alle riprese del lavoro del padre come attore, rivestendo un ruolo minore). Non si può purtroppo dire che tanto amor filiale abbia prodotto un'adeguata ispirazione.

Buono l'utilizzo degli effetti speciali, specie nelle scene dell'incidente e durante le riprese delle numerose tempeste di sabbia che intervengono a funestare il coraggioso tentativo dei nostri. Se tanta tecnologica grazia fosse stata a disposizione del primo film si sarebbe forse potuta salvare la vita del leggendario pilota Paul Mantz, lo stunt che guidava la Fenice di allora.
Per il resto, con nient'altro da filmare se non il deserto e dialoghi, dialoghi, ancora dialoghi, incredibilmente noiosi e, a tratti, abbastanza stupidi, il film perde ben presto la strada e si smarrisce tra le alte e assolate dune. Alcune digressioni nella sceneggiatura dovrebbero star lì a movimentare un po' la situazione: la breve fuga di uno dei naufraghi, l'improbabilissimo assalto della banda di predoni (cosa possano predare dei predoni a un manipolo di disperati senza acqua e senza cibo non è dato saperlo), il demenziale break musicale: l'effetto che sortiscono è assolutamente ridicolo e distrugge anche l'ultimo barlume di climax.
La caratterizzazione dei personaggi si rivela rigidamente aderente ai più frusti stereotipi (giovane=stupido, latino=religioso, manager=camicia e palmare).

John Moore, regista, confessa una clinica ossessione per gli aeroplani. Effettivamente le sequenze aeree iniziali del C-119 in volo sopra il deserto sono di una bellezza da levare il fiato, ma non ripagano da sole del prezzo del biglietto.

Si salva, stagliandosi sul velo di assoluta mediocrità, l'interpretazione del sempre ottimo Giovanni Ribisi, capace da solo, col suo incedere balbettante e col suo sguardo stralunato, di creare dal nulla un personaggio inquietante e misterioso, dotato di indubitabile carisma e di una certa peculiare, grottesca comicità.