Recensione The Tracey Fragments (2007)

Mai la brutalità si trasforma in melodramma, anche e soprattutto grazie alla magistrale, cinica interpretazione di una giovane bravissima attrice, presente in ogni inquadratura, in ogni tassello, in ogni fotogramma di questo moderno esperimento di pop-art.

Scampoli di Tracey

Tracey non si piace, e non piace agli altri. Non piace ai suoi genitori, non piace ai compagni di scuola. Ai maschi perché non ha tette e sembra uno di loro, alle ragazze perché non si sentono rappresentate da lei. Solo il fratellino Sonny la adora, un bambinetto che da quando, per gioco, Tracey l'ha ipnotizzato, non parla più ma abbaia, convinto di essersi trasformato in un cagnolino. Costretta ad andare in cura da uno psichiatra transessuale da due genitori totalmente incapaci, Tracey non riesce ad accettare la realtà ed il suo stato mentale peggiora di giorno in giorno, almeno fino all'arrivo a scuola di un nuovo ragazzo, una sorta di clone di Bob Dylan da giovane. Tra i due è intesa al primo sguardo, anche perché per Tracey lui è il primo a guardarla in modo 'diverso'. Quando il fratellino scompare, come dileguato, Tracey reagisce in maniera un po' strana. Poi d'improvviso inizia a cercarlo senza sosta per le vie della città a bordo di autobus locali, incontrando sul suo cammino dei personaggi davvero bizzarri.
La tormenta di neve sta per arrivare e pian piano sommergerà le vite di tutti...

Tratto dal romanzo d'esordio del 1998 della scrittrice canadese Maureen Medved (co-autrice della sceneggiatura del film), The Tracey Fragments narra in modo del tutto innovativo e intuitivo lo stato confusionale di una ragazza di nome Tracey (Ellen Page, la ventenne prodigio già protagonista di Juno, vincitore a Roma 2007). Per cercare di riproporre al cinema lo stile narrativo della commediografa di Vancouver - fatto di frasi brevi, di periodi sfasati temporalmente che si intersecano tra loro secondo il filo dei pensieri della ragazza - il regista del film Bruce McDonald ha ripreso ogni scena contemporaneamente da molteplici angolazioni, rimontando successivamente l'intero film in split-screen multiplo, dividendo cioè lo schermo in tanti piccoli tasselli mobili. Il caotico punto di vista di Tracey Berkowitz sulla vita, l'amore e il sesso, è raccontato sia visivamente
che narrativamente in tanti piccoli pezzi. In ognuno di questi la scena principale viene ripetuta non solo da un'altra angolazione, ma le inquadrature si soffermano su altri particolari e sfasano talvolta la storia a livello temporale, sia in avanti che indietro, arrivando persino ad inserire brevi flashback sulla sua prima infanzia. Un po' complicato da spiegare, ma molto bello da vedere.

Dapprima scelto come metodo per risparmiare sul budget, il multi-frame viene in seguito adottato dal regista (non nuovo a questo tipo di tecnica) come modus operandi dell'intera opera, l'unico modo possibile per interpretare alla lettera il racconto della Medved e soprattutto per portarlo sullo schermo. Costato ben nove mesi di post-produzione, a fronte di sole due settimane di riprese, I frammenti di Tracey è il primo film della storia ad essere realizzato quasi completamente con questa tecnica.

Dopo un lunghissimo incipit, quando ormai i titoli di testa non te li aspetti più, inizia la storia di Tracey vera e propria, narrata da lei stessa in prima persona e concepita quasi a mo' di documentario. Sin dall'inizio si susseguono frasi brevi, citazioni di sé e di chi le sta intorno, lunghe pause, zoom, suoni psichedelici e musica anni '70. La narrazione è confusa ma non confonde, rende anzi alla perfezione il senso di smarrimento e di frustrazione dei protagonisti. Molte le scene altamente drammatiche del film, alcune davvero struggenti come il raptus di rabbia nella cabina telefonica o quella che vede Tracey spinta fuori dalla macchina del suo fidanzato come un sacco della spazzatura. Mai però questa brutalità si trasforma in melodramma, anche e soprattutto grazie alla magistrale, cinica interpretazione di una giovane bravissima attrice, presente in ogni inquadratura, in ogni tassello, in ogni fotogramma di questo moderno esperimento di pop-art. Ma la cosa più bella di questo film è che, fondamentalmente, tutti i protagonisti della storia sembrano aver bisogno di uno psichiatra a parte Tracey.
Immensamente poetica la sequenza finale, uno dei rarissimi momenti in cui lo schermo non è spezzettato: Tracey passeggia lentamente in un parco con indosso solo una tenda da doccia, mentre dal cielo iniziano a cadere candidi fiocchi di neve e tutto viene immerso in un lungo catartico silenzio.

Movieplayer.it

3.0/5