Salvador: Huerga e Bruhl contro la pena di morte

In arrivo nelle sale il film che racconta la storia vera del giovane anarchico catalano Salvador Puig Antich, ultima vittima della pena capitale in Spagna. Lo hanno presentato a Roma regista e protagonista.

Il cinema torna a gridare il proprio sdegno verso la pena di morte. Uscirà il 27 aprile nelle sale italiane Salvador - 26 anni contro, il racconto di un giovane anarchico che ha combattuto per la libertà nella Spagna di Franco ed è finito col diventare l'ultimo condannato a morte, nel 1974, della penisola iberica, risvegliando la coscienza politica di un'intera nazione. Il regista Manuel Huerga e il protagonista Daniel Brühl accompagnano il film a Roma per gridare il loro no alla pena capitale, una pellicola che ha già commosso migliaia di giovani spagnoli.

Manuel Huerga, perché ha scelto di raccontare la storia di Salvador Puig Antich?

Manuel Huerga: Il film non cerca di spiegare qualcosa in particolare, ma si limita a raccontare una storia ambientata in un periodo in cui, dopo 40 anni di dittatura, si è detto finalmente basta. Il mio non è un ritratto di una generazione, ma un racconto in un certo senso universale, perché la storia di Salvador non appartiene solo al passato, ma possiamo ritrovarla, in altre forme, anche nel nostro presente. Il film è anche un invito a non soccombere a quelle ideologie che sfruttano un torpore delle coscienze per cercare di riportare in auge il fascismo.

Come si è preparato alle riprese del film?

Manuel Huerga: La storia di Salvador - 26 anni contro è tratta da un libro scritto da Francesc Escribano, un giornalista che ha raccolto tutto il materiale possibile relativo alla storia di Salvador e lo ha riversato nel suo libro Conto alla rovescia: la storia di Salvador Puig Antich. Fare un film su un argomento del genere ha rappresentato un altissimo rischio perché ci sono ancora molti tabù su quel periodo. Con questo film gli spagnoli si trovano ad affrontare il proprio passato, un periodo che ha lasciato ferite ancore aperte. Per prepararci alle riprese abbiamo avuto contatti con tutte le persone ancora in vita che hanno vissuto quell'esperienza e questo ci ha permesso di riportare fedelmente la realtà di quell'epoca. Le sorelle di Salvador dopo 33 anni dall'esecuzione ancora continuano a lottare per la revisione del processo.

Qual è stata la reazione di Escribano all'uscita del film?

Manuel Huerga: Siamo stati molto scrupolosi nel rappresentare la storia così come è narrata nel suo libro. Il personaggio della guardia carceraria è effettivamente esistito ed è ancora vivo. Abbiamo avuto delle lunghe e preziose chiacchierate con lui che ci hanno aiutato a rappresentare meglio questa storia. Il libro di Escribano era già abbastanza ricco di dettagli da rendere inutili particolari aggiunte o sottolineature. Tutto questo materiale ha portato a una prima versione del film che durava tre ore e un quarto e perciò il nostro sforzo è stato soprattutto quello di condensare la storia in due ore e per far questo abbiamo dovuto fare tanti tagli.

Com'è stato girare una scena così delicata come quella dell'esecuzione?

Manuel Huerga: Avevo dei dubbi su come rappresentare un simile momento, non tanto per gli spettatori, ma per le sorelle che non sapevo come avrebbero reagito. Non abbiamo fatto questo film per noi, ma per i nostri figli, per i più giovani e perciò ritenevamo fosse importante illustrare la morte non con la superficialità con cui viene trattata di solito nel cinema d'oggi, ma con tutto l'orrore che in effetti c'è in essa. Credo che il film possa aiutare a riflettere non solo sulla morte, ma anche sul valore della vita e che possa essere un aiuto per le generazioni future. Per questo ho cercato di utilizzare uno stile moderno che si rivolgesse soprattutto ai giovani. Penso che sia importante rappresentare la morte per quello che è, e così l'orrore dell'esecuzione, perché questo è un film contro la pena di morte.

Che ricordo ha lei dell'esecuzione di Salvador?

Manuel Huerga: Quando c'è stata l'esecuzione di Salvador avevo 17 anni e mi ricordo perfettamente quando è successo. Ero uno studente e avevo la fortuna di frequentare una scuola in cui l'educazione era di tipo progressista, a differenza della maggior parte delle scuole del paese. Ricordo che quel giorno noi ragazzi abbiamo preso coscienza politica del momento storico che stavamo vivendo, della mancanza di libertà nel nostro paese, e ci siamo sentiti tutti vicini a Salvador perché era un giovane come noi.

Lei rappresenta la polizia di quel periodo in modo molto duro.

Manuel Huerga: In quel periodo nessuno poteva fidarsi dell'altro ed era pericoloso anche prendere un taxi perché ti poteva sfuggire una considerazione personale contro il regime franchista e magari il tassista era un informatore della polizia. Il film comincia con un fatto realmente accaduto nel 1969, quello di un giovane ucciso dalla polizia, gettato dalla finestra di un palazzo solo perché aveva fatto propaganda comunista. Il paese viveva in un clima di terrore e questo era ben esemplificato dalla figura del padre di Salvador, un uomo prima esiliato e poi condannato a morte, che aveva ottenuto la grazia, ma aveva perso tutta la sua vitalità. D'altra parte c'è stata una certa umanità nel personale carcerario, come Jesus, la guardia di Salvador, che è stato vicino a lui durante i suoi ultimi giorni. Il suo personaggio ci mostra come le persone possano cambiare: Jesus è stato talmente toccato dall'esperienza di Salvador che oggi è un leader di un movimento comunista.

Qual è la situazione oggi in Spagna rispetto al periodo del franchismo? C'è coscienza di ciò che è accaduto?

Manuel Huerga: Il film esce in un momento della storia del nostro paese molto interessante, nel quale si sta discutendo di un progetto di legge sulla memoria storica. La storia, come si sa, la scrivono i vincitori. In Spagna c'è stata una transizione pacifica verso la democrazia, senza spargimenti di sangue e la storia è stata scritta dai vincitori della guerra civile. Oggi si sta cercando di descrivere meglio quello che è accaduto. La dittatura in Spagna è stata instaurata con un colpo di stato ed è durata quarant'anni, molti di più di tutte le altre dittature che la storia ha conosciuto nello scorso secolo. Film come Salvador sono scomodi perché spiegano effettivamente cosa è stato il franchismo e vanno contro coloro che tentano di edulcorare, di far passare come meno atroce quel periodo. Come ogni dittatura sono rimasti tanti casi di ingiustizia e ci sono oltre dodicimila processi di revisione in corso. In Germania i tedeschi hanno fatto tabula rasa, sono ripartiti da zero, riconoscendo però i propri errori, mentre in Spagna questo non è stato fatto. Molti partiti popolari sono ancora franchisti e la maggior parte dei partiti di destra si stanno opponendo a questa legge di revisione storica. Il franchismo è visto da molti come una dittatura blanda, ma con questo film vogliamo mostrare la realtà delle cose. Nella nostra epoca Pinochet è morto senza pagare per i suoi crimini e così è successo anche a Franco. Oggi in Spagna c'è una guerra civile in corso che si combatte in modo virtuale attraverso gli organi di stampa e che vede due Spagne contrapposte: da una parte i rossi, dall'altra i fascisti. E' una situazione molto complicata.

Qual è stata l'accoglienza del film da parte degli spagnoli?

Manuel Huerga: Per preparare il film siamo stati in contatto con tutti i personaggi di quel periodo ancora in vita, compresi i compagni di Salvador del Movimento Iberico de Liberacion, con i quali abbiamo scambiato esperienze e ricordi. La reazione che mi interessava di più era quella della famiglia e alle sorelle di Salvador il film è piaciuto così tanto che spesso ci accompagnano in giro per i vari festival dove la pellicola viene presentata. In Spagna si sta parlando di una riapertura del caso di Salvador e forse una delle ragioni è stato proprio questo film che ha contribuito a sensibilizzare l'opinione pubblica. Gli esponenti del M.I.L. non sono più quelli di una volta e se non ci fosse stata l'esecuzione di Salvador probabilmente nessuno si ricorderebbe più di loro. Ci sono state diverse critiche al film da parte del M.I.L. che lamentava una scarsa rappresentazione della loro ideologia, ma io credo che in fondo questa ideologia non fosse poi un granché e che il loro pregio principale risiedesse nella grande vitalità che li animava. In Spagna c'è stato un notevole entusiasmo verso il film, soprattutto in Catalogna, perché Salvador era catalano, e il successo più grande c'è stato tra i giovani che uscendo dalla sala si chiedevano se davvero durante quell'epoca succedeva quello che il film racconta. In generale c'è stata molta commozione tra il pubblico e il film ha avuto tantissimi spettatori, in un anno difficile per l'uscita di pellicole di grande successo come Volver - tornare, Il labirinto del fauno ed Alatriste. La stampa, invece, non è sembrata apprezzare particolarmente la pellicola, ma quello che a me interessava era conquistare i giovani, senza elementi di avanguardia, e posso perciò capire che Salvador non abbia avuto tanto successo tra i critici che forse sono più interessati ad elementi innovativi. Il film ha avuto numerosi premi del pubblico in tutti i festival dove è stato presentato e questo è quello che mi interessa perché alla fine sono gli spettatori coloro che pagano il biglietto.

Daniel Brühl, come si è avvicinato ad un personaggio come Salvador?

Daniel Brühl: Sono nato nel 1978, a quattro anni di distanza dalla sua esecuzione. Mia madre era catalana e i miei si sono sposati durante il franchismo, perciò ho conosciuto quell'epoca attraverso i racconti dei miei genitori. Mi ricordo di aver sentito il nome di Salvador, ma non sapevo nulla di lui. Mi sono avvicinato al personaggio leggendo il libro e incontrando le persone che avevano vissuto quel periodo in prima persona, come le sue sorelle. All'inizio mi sembrava una sfida impossibile, ma poi ragionando sul fatto che si trattava di una storia universale tutto è cominciato ad apparirmi più semplice. Salvador è sempre stato per me un personaggio in cui non mi era difficile identificarmi perché ogni persona con un minimo di coscienza politica può capire gli ideali che lo hanno spinto alla lotta.

Quali sono state le sue emozioni durante la realizzazione del film?

Daniel Brühl: Quando un attore deve prepararsi per un film che racconta un fatto reale sente una maggiore responsabilità rispetto al solito. All'inizio ho cercato di raccogliere più informazioni possibili per calarmi meglio nel ruolo, ma la settimana prima dell'inizio delle riprese ho preso tutte le foto e tutto il materiale raccolto e l'ho chiuso in un cassetto, poi mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: "Io sono Salvador." Sono entrato nella parte con tutte le sfumature e, forse, con tutti gli sbagli del personaggio. Ci sono stati due livelli nell'interpretazione di questo film. Un primo, più divertente, in cui lo vivevo come una bella avventura con gli altri ragazzi del cast e mi entusiasmavo a girare tutte quelle scene di azione che ci sono nella prima parte del film. L'altro livello invece, relativo all'entrata di Salvador entra in carcere, è stato più duro ed impegnativo. Ho girato le scene prima dell'esecuzione quasi in trance, come una tigre in gabbia, pensando alla mia, di morte. In quei momenti per entrare meglio nel personaggio mi ha aiutato tantissimo la musica di Bach, in particolare La passione secondo Matteo, che piaceva tanto a Salvador.