Ride e il rapporto tra cinema e videogiochi

Scopriamo il modo in cui il film Ride ha colto il potenziale del linguaggio videoludico trasportandol con successo sul grande schermo - a cura di Michele Monteleone.

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Ride: Lorenzo Richelmy e Ludovic Hughes in un momento del film

Per parlarvi di Ride, il nuovo film diretto da Jacopo Rondinelli e scritto, co-prodotto e supervisionato da Fabio Guaglione e Fabio Resinaro (già autori di Mine), ho bisogno di fare una lunga premessa sull'evoluzione della narrativa nel mondo dei videogiochi, sul rapporto che ha quest'evoluzione con il cinema e su come si possa preconfigurare uno scambio e una convivenza tra i due media. Quindi portate pazienza, non sarò breve, ma proverò anche a non menare troppo il can per l'aia, ma intanto forse è il caso che io spenda, in apertura, due parole sulla trama del film.

In Ride Max (Lorenzo Richelmy) e Kyle (Ludovic Hughes), sono due rider, due amanti degli sport estremi, due ciclisti in grado di correre su qualunque terreno che ricevono l'invito a una gara segreta. Il contest ha un premio che non può che fare gola: 250.000 dollari a chi arriverà per primo in fondo a una gara di Downhill (una gara che vede dei ciclisti scendere giù da una montagna evitando e saltando ostacoli per lo più naturali con salti alti anche svariati metri). I due accettano immediatamente la sfida senza sapere che la gara nasconderà pericoli ben più spaventosi dei soli salti sulla bici e dovranno spingere i loro corpi e le loro menti oltre ogni limite fino ad allora esplorato per vincere la gara, ma soprattutto per rimanere vivi.

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Il rapporto tra cinema e videogiochi

Pac Man

C'era una volta un mondo in cui la frase "sembra un videogioco", usata per commentare un film, era considerata un terribile insulto. In quel mondo che non c'è più, i videogiochi funzionavano con meccaniche rudimentali e avevano il loro vero cuore nel gameplay, nella loro parte ludica: salta al momento giusto, spara al centro del mirino, tira nella porta avversaria, scappa dai fantasmi attraverso il labirinto. Sebbene anche il più elementare dei videogiochi in realtà nasconda più narrativa di quanto sembri, molto spesso in passato questa è stata ad uso e consumo dei soli videogiocatori, dedicata ai più hardcore, i fissati, i nerd. Mi basta pensare, sorridendo, a quel lungo intervallo in Pacman in cui il giocatore finisce fuori dal labirinto per rientrare dalla parte opposta. È un lungo momento, un salto temporale che ne sottintende anche uno spaziale. Quindi che fine fa la nostra vorace controparte videoludica in quel momento? C'è un mondo nascosto in Pacman? Un altrove segreto dietro a quel labirinto in 16bit? Le speculazioni in questo senso sono meravigliose, ma certo non costituiscono ancora una vera e propria narrativa.

Ride Ludovic Hughes
Ride: Ludovic Hughes in una scena del film

E infatti forse mi sto facendo prendere la mano e sto perdendo il filo del discorso. Parlavamo della narrativa dei videogiochi opposta a quella del cinema. Chiunque segua gli sviluppi dei videogame avrà certo notato che, grazie al costante avanzamento tecnico, le migliorie ai motori grafici, la maggiore potenza di calcolo di cui sono capaci i moderni processori, ormai i videogiochi sono in grado di creare mondi con una qualità che si avvicina incredibilmente al cinema. E in realtà riescono, vista l'effettiva mancanza di limiti tecnici, ad essere a tratti anche più spettacolari. In una scena di inseguimento dieci macchine non costano più di una e un drago realizzato in CGI non stona con l'ambiente circostante. Ma ancora una volta non voglio parlavi esattamente di questo, ma semplicemente raggiungere il cuore della mia argomentazione piazzando tutti i tasselli che ci servono per avere un terreno comune sul quale discutere. Quindi: i giochi ormai tecnicamente possono imitare il cinema, forse anche superarlo. Data come assodata quest'affermazione, possiamo fare un altro passo avanti. L'immersione in prima persona nel videogioco, la possibilità di prendere decisioni che modifichino l'avanzare della trama e decidano il corso degli eventi che investono il protagonista del videogame, aumentano incredibilmente l'immedesimazione nello stesso ad un livello davvero difficilmente replicabile da un film. E abbiamo messo al suo posto il secondo tassello di questo lunghissimo prologo. Rimanete ancora per un attimo con me. Infatti l'ultimo assunto che ci serve per discutere di Ride e del rapporto fra cinema e videogiochi è quello che riguarda la qualità e complessità della narrativa dei videogame.

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Una narrazione videoludica sempre più complessa

The Last Of Us

Per spiegare quanto questa negli anni si sia evoluta, basta guardare alle storie sempre più complesse dei giochi della Naughty Dog. E per arrivare al punto di questo lungo discorso, vorrei proprio farvi notare come probabilmente nessuno ci donerà mai un Indiana Jones più iconico e action del Nathan Drake di Uncharted. Il videogioco della compagnia californiana prende a pieni mani dalla creatura di George Lucas e Steven Spielberg e ne imita gli stilemi, arrivando a ricreare quell'azione tanto ritmata da sembrare un balletto, le fughe di Drake sono prove d'abilità da slapstick comedian degne del miglior Buster Keaton. E l'azione viene seguita con una regia ultra-dinamica, con carrelli, stacchi di montaggio e una libertà pressoché assoluta di inquadrare l'azione da ogni angolo possibile del set virtuale che è stato costruito per la scena. E ancora potremmo parlare della raffinatissima struttura che ha la narrazione in The Last of Us, in cui la storia viene introdotta da un prologo e divisa in capitoli seguendo il tipico schema con cui viene suddivisa la sceneggiatura di un film o meglio di una serie televisiva. Gli esempi dei giochi della Naughty Dog sono i più eclatanti e compiuti, ma sono solo esempi di quella che ormai è una vera e propria fusione tra i due media. Potremmo parlare per ore della raffinata scrittura dei giochi di The Witcher o delle complesse trame dei GTA, dell'idea stessa di sequel e serialità che viene trasmutata da un mezzo all'altro, da cinema a videogiochi, ma non ce n'è bisogno.

Max Payne

Ormai la convivenza tra i due è palese e assodata e, se è vero che per anni il mondo videoludico ha attinto a piene mani da quello cinematografico rubandone le strutture per applicarle al proprio, è altresì vero che negli ultimi anni questo processo è iniziato anche nel senso opposto, arricchendo e diversificando il linguaggio cinematografico. Ci sono pessimi esempi di questo tentativo di imitazione da parte del grande schermo, mi viene da pensare ai vari film direttamente ispirati a videogiochi di successo come Doom, Max Payne e World of Warcraft. Ma anche altri esperimenti come pellicole interamente girate in soggettiva per imitare lo stile degli fps (first person shooter anche detti sparatutto) come Hardcore!. In questi primi casi il tentativo di trasmigrazione delle idee da un media all'altro è stato goffo e inconcludente. Spesso si sono cercati di emulare meccanismi propri del videogioco dimenticando che questi sono strettamente legati a dinamiche proprie del mezzo e dell'interattività dello stesso, risultando perciò inimitabili se non con incerte copie.

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Doom

Ride: l'estetica e la narrazione dei videogiochi al cinema

Ride Lorenzo Richelmy
Ride: Lorenzo Richelmy in un momento del film

Ma sono convinto che questi primi passi falsi non siano che uno scoglio da superare verso il positivo passaggio di idee dal videogioco verso il cinema. E Ride, il film che ha scaturito in me, e penso farà nascere in altri, queste considerazioni, si piazza in questo solco prendendo questa volta la giusta distanza dal materiale di partenza e dimostrando di averne realmente capito la potenzialità. Come dicevamo all'inizio di questo pezzo, in Ride i due protagonisti stanno partecipando a una gara con in palio un premio, proprio come succederebbe all'eroe di un videogioco che accumula solitamente equipaggiamento e denaro in cambio della realizzazione di un'impresa. Durante tutta la gara i nostri potranno interagire con mappe olografiche in cui potranno vedere segnata la loro posizione e quella degli altri concorrenti sul percorso, con un'altra dinamica propria dei videogiochi. Saranno inoltre presenti, sulla pista, dei veri e propri checkpoint da raggiungere in tempo utile e, dulcis in fundo, la vera particolarità con cui è stato realizzato il film e uno dei principali motivi per cui penso che il film sarà un ottimo esempio di trasposizione corretta delle meccaniche videoludiche: tutta la pellicola è stata realizzata unicamente tramite delle GoPro.

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Ride Lorenzo Richelmy Ludovic Hughes
Ride: Lorenzo Richelmy e Ludovic Hughes in un'immagine tratta dal film

Se non sapete cosa siano, sappiate che si tratta di videocamere indossabili, attraverso una vasta gamma di accessori e posizionate, in questo caso, su caschi e bici dei nostri. Le GoPro sono diventate famose nel mondo degli sport estremi perché sono resistenti all'acqua e agli urti. Si tratta di dispositivi di dimensioni e peso molto ridotti, hanno una focale fissa (l'assenza della possibilità di zoomare) e un obiettivo grandangolare di 170 gradi di ampiezza. Le videocamere registrano su scheda di memoria solida e sono alimentate da batterie al litio. Praticamente il perfetto mezzo per ricreare alla perfezione la sensazione di completa immedesimazione con l'azione che creano proprio i videogiochi.

Ride Simone Labarga
Ride: Simone Labarga in una scena del film

Il lavoro di post-produzione realizzato per il film deve essere stato mastodontico, infatti non è stato usato nessun altro mezzo che non fossero le camere portatili della GoPro. In sede di montaggio è stato gestito un incredibile numero di differenti sorgenti per realizzare scene concitatissime, saltando da una soggettiva all'altra, allargando e stringendo senza l'utilizzo degli zoom e dovendo quindi ricorrere unicamente al montaggio del girato delle diverse GoPro sparse per il set e indossate dagli attori. Il tutto, ed è questa la parte più interessante dell'operazione, è stato realizzato in maniera diegetica, ovvero dando alla particolarità delle riprese una motivazione narrativa, interna alla storia: i due Rider protagonisti indossano le camere e vengono spiati sul loro percorso da altrettanti apparecchi. Il mezzo si fa narrazione in quella che potrebbe diventare un'interessante fusione tra stilemi narrativi fino ad ora ancora alieni tra loro. Quello che ci aspetta con Ride è una nuova prospettiva sugli sport estremi e ancora di più una totale immersione nell'azione che ci renda, almeno nell'illusione cinematografica, protagonisti della storia.

a cura di Michele Monteleone.