Recensione Forever Blues (2006)

Ha un tocco leggero, divertito e quasi mai compiaciuto, l'esordio alla regia di Franco Nero, immerso nel sole di un paesino della Calabria tra le note del blues che unisce i destini dei suoi due protagonisti.

Ricordi in blues

Ha un tocco leggero, divertito e quasi mai compiaciuto, l'esordio alla regia di Franco Nero, immerso nel sole di un paesino della Calabria tra le note del blues che unisce i destini dei suoi due protagonisti. Un tributo che, a 64 anni, l'attore/(neo)regista ha voluto dedicare alla musica di cui è appassionato di vecchia data, con una storia che, per sua stessa ammissione, contiene diversi elementi autobiografici. Una storia narrata in un flashback con il protagonista che torna, anni dopo, in un luogo che è stato fondamentale per la sua infanzia, e all'incontro con Luca, trombettista jazz disilluso, cinico e stanco. Seguiamo così la storia del piccolo Marco, appena giunto nella sonnolenta cittadina insieme alla madre, che per anni ha subito le angherie del violento marito; in conseguenza della tesa situazione familiare, il ragazzino si è chiuso in un mutismo impenetrabile, così ostinato da sfiorare l'autismo. L'incontro casuale con Luca aprirà un varco nel muro tenacemente eretto da Marco, oltre a dare una svolta alla sua vita facendogli scoprire l'amore per la musica; ma il padre del bambino è sulle tracce di moglie e figlio, e presto i nodi irrisolti nella loro famiglia verranno al pettine.

Nero sceglie un registro agrodolce per raccontare una storia di amicizia e di ordinaria violenza domestica, valorizzata da una colonna sonora che accompagna piacevolmente i passaggi più intensi e significativi della pellicola. Non tutto gira alla perfezione, c'è da sottolinearlo: la sceneggiatura scade a volte in un didascalismo inutile, quando si poteva lavorare ancor più "per sottrazione" nel rapporto tra i due protagonisti, affidandosi tra l'altro alla buona recitazione di entrambi (se l'attore/regista è intenso come sempre, il giovanissimo Daniel Piamonti offre una prova ottima sotto il profilo dell'espressività, meno sotto quello della dizione: ma il tempo per migliorare non gli manca). Il background del personaggio del protagonista, in fondo, è solo accennato, e non mancano le ingenuità, disseminate qua e là nello script. Al di là di questi limiti, però, va sottolineata l'indubbia sincerità degli intenti di base, il coraggioso rimettersi in discussione di Nero in un campo nuovo per lui come quello della regia, la passione, e a volte la sofferenza, che traspaiono dal suo modo di narrare.

In quest'ottica, dunque, sono perdonabili, oltre ai già citati difetti di sceneggiatura, alcune prove attoriali non al meglio (una su tutte quella di Robert Madison, un Marco adulto non sempre all'altezza della situazione), e una certa timidezza di regia che in questo caso non rappresenta un pregio. Si può tranquillamente, guardando il film dall'ottica giusta, dimenticare questi aspetti e abbandonarsi al piacere della musica, oltre che di una storia in cui in fondo non è difficile riconoscere se stessi o le persone con cui si è a contatto. Non sarà il cinema italiano del futuro, forse, ma è cinema che emoziona e diverte, da parte di uno che il cinema italiano lo conosce, avendone attraversato gli ultimi quattro decenni. Può bastare?

Movieplayer.it

3.0/5